21 febbraio 2019 16:50

“Ho cominciato a scattare per caso, quando un giorno fotografai la scena in cui un ragazzo del quartiere uccise un poliziotto vicino a casa mia a Finsbury park, nella parte nord di Londra. Era una zona di povertà, violenza e intolleranza”, racconta Don McCullin.

Le foto dell’omicidio furono poi pubblicate su un quotidiano. Quell’esperienza, alla fine degli anni cinquanta, diede inizio alla sua carriera, dedicata soprattutto ai lati più nascosti della società: i poveri e gli oppressi.

Una mostra alla Tate Britain Londra racconta la carriera di McCullin attraverso più di 250 foto, che ripercorrono sessant’anni del suo lavoro in giro per il mondo. Dalla Germania, quando documentò la costruzione del muro di Berlino, a Cipro, dove seguì gli scontri tra i greci e i turchi ciprioti. “È stata in quell’occasione che ho sentito che con le mie foto potevo condividere le emozioni degli altri e trasmetterle a chi le guarda”, ha spiegato McCullin.

Negli anni sessanta gli commissionarono dei servizi in Congo e in Biafra. Poi andò in Vietnam, dove nel 1970 fu ferito da un mortaio. Tra gli anni sessanta e ottanta, fotografò le persone che vivevano per strada nella parte est di Londra: “Non voglio che le persone pensino alla fotografia come uno strumento che possa raccontare solo la guerra”.

La mostra a Londra presenta anche i reportage realizzati in Bangladesh, in India, in Pakistan, in Libano, in Iraq durante la guerra del Golfo e in Africa, dove documentò il diffondersi del virus dell’hiv.

Il percorso si chiude con i lavori più recenti, che coincidono con una nuova fase del lavoro di McCullin: niente più guerre ma paesaggi della Scozia e del Somerset.

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