13 maggio 2019 14:45

Marco Steiner è l’autore di un esperimento inedito e inclassificabile, realizzato insieme a due fotografi, Marco D’Anna e Gianni Berengo Gardin. Nella laguna di Venezia sorge l’isola di San Servolo. Qui una volta c’era un luogo quasi fuori dal tempo, un luogo degli ultimi e quasi degli orrori. Il manicomio di San Servolo, oggi trasformato in un museo.

Con il libro Isole di ordinaria follia Steiner – che è stato assistente e collaboratore del veneziano Hugo Pratt – insieme a D’Anna e Berengo Gardin vuole raccontare le terribili storie delle persone che hanno vissuto nel manicomio, partendo da un’attenta selezione delle cartelle cliniche conservate nell’Archivio storico degli ospedali psichiatrici veneziani di San Servolo. Il suo obiettivo non è fare un’opera fredda, anzi. Steiner sceglie quattordici storie, quelle di sette di donne e sette di uomini. Lo stile di scrittura oscilla tra il racconto lungo in prosa e il racconto breve prossimo alla poesia. Ne esce un canto dolente e poetico che sfocia nell’utopia dell’essere umano liberato da ogni prigionia sociale, vista anche l’assurdità, si potrebbe dire la follia, delle ragioni che portarono alle reclusioni. Non per nulla Steiner si ricollega in modo particolare a Il vagabondo delle stelle di Jack London, storia di un detenuto che impara una tecnica particolare di concentrazione mentale che consente “di liberare la coscienza mentre il corpo giace immobile nella catena di forza”. Permettendo, così, di “camminare tra le stelle”, come scrive London.

Liberare le coscienze andando oltre il tempo (contingente), oltre le isole della follia, e restituire finalmente dignità ai reclusi, superando l’ottusità e i pregiudizi che sono altrettante prigioni, ottusità e pregiudizi ieri sconfitti ma che possono sempre tornare. A ricordare quanto fu lunga e complessa la battaglia contro questo possente muro ideale, e che ha il suo simbolo in Franco Basaglia, ci pensa lo psicologo e psicoterapeuta Antonio Dragonetto – che ha accompagnato Steiner nelle sue ricerche – in un’articolata postfazione che ricorda, tra l’altro, come in questa lotta fu importante l’ambiente veneziano. In appendice al volume si trovano i negativi delle foto di realizzate da Berengo Gardin nel 1969 per Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin (Einaudi), libro che, con l’aggiunta dei testi di Basaglia, fece epoca.

Questi negativi – come le opere grezze di certi pittori o i loro bozzetti – trasudano grande forza. A intervallare i racconti, invece, le potenti foto di Marco D’Anna, che trasfigurano con poesia la realtà. Perché se la fotografia, come ricorda Dragonetto, consente “il disvelarsi della fenomenologia dell’istante”, le foto di Berengo Gardin e D’Anna “ci permettono di cogliere quell’attimo in cui la malattia mentale, con la sua violenza e la sua sofferenza, si manifesta”. (Francesco Boille)

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