04 novembre 2021 17:04

Nell’arco di quattro decenni, il fotografo Sunil Gupta ha creato progetti accomunati dalla necessità individuale e collettiva del diritto alla libertà, all’essere visti e quindi riconosciuti, concentrandosi sui temi razziali, la migrazione, l’identità queer e le sue lotte, indagati spesso attraverso l’uso del ritratto e dell’autoritratto. Alla galleria Matèria di Roma fino al 15 gennaio viene ospitata la sua prima personale italiana, Emerge into light, che si concentra su due serie dell’autore, Christopher street e From here to eternity.

Christopher street è una strada del Greenwich village a New York dove si trova lo Stonewall Inn, il gay bar dove nel 1969 prese forma il movimento di liberazione omosessuale militante. Gupta, cresciuto a New Delhi e poi emigrato con la famiglia in Canada, era arrivato in città nel 1976, a 23 anni, intercettando involontariamente il momento perfetto: dopo i moti di Stonewall e poco prima della drammatica diffusione dell’aids. C’erano gioia e fierezza nell’aria e le strade di quel particolare quartiere erano costantemente piene di giovani uomini “felici e promiscui”, come scrive l’artista stesso.

Nel 1976 una nuova apertura e un’accettazione senza precedenti riempivano i vicoli di New York: era il momento di uscire per “andare in strada” ma anche per “fare coming out”. In una recente intervista rilasciata in occasione della retrospettiva dei suoi lavori alla Photographer’s Gallery di Londra, afferma che “era il momento in cui c’erano troppi uomini e non abbastanza tempo. Volevamo fare sesso tutto il tempo e facendolo, combattevamo contro l’idea tradizionale di famiglia e l’accumulo di ricchezza. Così ho cominciato a fotografarli in modo da poterli avere tutti, senza dover davvero fermarmi e fare sesso con ognuno di loro”.

Era soprattutto anche un modo per identificarsi in loro, trovare persone simili e creare un senso di comunità allargando l’accezione di “famiglia”.

Nel corso della sua vita il bisogno di libertà, sempre sostenuto dalla pratica fotografica, evolve e diventa un faro verso cui tendere per illuminare il periodo più oscuro: quello della malattia. From here to eternity è il titolo di un primo progetto del 1999, pensato dopo la diagnosi di positività all’hiv.

Formato da dittici di ritratti personali e aree di Londra, il progetto originale “è un’interpretazione della malattia e dei suoi effetti, una mappa del mio contesto locale in mutazione. Londra come un punto focale degli atteggiamenti verso i sopravvissuti e le loro cure”, afferma Gupta. Nel 2020 From here to eternity diventa un nuovo progetto, che interseca il precedente e lo espande: una forma diaristica dilatata che si muove avanti e indietro nel tempo, a raccontare cosa sono stati gli anni della malattia e della sopravvivenza, che hanno permesso al fotografo di trovare una via d’uscita dal virus con un nuovo senso di scopo e fiducia nel futuro.

Una mostra che arriva in Italia in un momento storico particolare per la tematica dei diritti lgbtq+ e che in prospettiva può assumere simbolicamente anche un’ulteriore rilevanza: dal negativo al positivo, conservando la speranza di emergere verso la luce.

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