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Le fotocamere tradizionali convogliano la luce su un supporto per catturare immagini sotto forma di minuscoli puntini. Negli anni i supporti sono cambiati – alle lastre d’argento sono subentrate quelle di vetro, le pellicole di acetato e i dispositivi ad accoppiamento di carica – e i puntini non sono più particelle di sostanze chimiche ma pixel elettronici. E i film non sono altro che flussi d’immagini in sequenza.

Oggi c’è un’alternativa ai dispositivi tradizionali, e si chiama event camera. La differenza è che qui i puntini, invece di attivarsi simultaneamente con un otturatore reale o virtuale, reagiscono quando cambia la natura della luce in entrata. Dato che questo cambiamento è spesso conseguenza del movimento, i sensori immortalano eventi piuttosto che oggetti e sono quindi destinati a usi più complessi, soprattutto quando sono anch’essi in movimento. Una event camera è infatti in grado di stabilire, in modo semplice e rapido, la velocità a cui si spostano gli oggetti presenti nel suo campo visivo, o “flusso ottico”, che mostra sia il movimento dell’apparecchio sia la distanza da altri oggetti, perché quelli vicini cambiano posizione più rapidamente di quelli lontani.

Gli occhi delle mosche

Gli occhi degli insetti sono un esempio di strumenti ottimizzati per registrare il flusso ottico. Per questo le mosche sono così brave a calcolare velocità e distanza di uno schiacciamosche in avvicinamento. Ispirandosi alle mosche, Guido de Croon e i suoi colleghi dell’Università tecnica di Delft, nei Paesi Bassi, hanno usato una event camera su un drone per misurarne la velocità di discesa e consentire un atterraggio controllato più veloce rispetto a quello con un sensore tradizionale.

Un sensore tradizionale che riprende venti immagini al secondo fornisce dati a intervalli di 50 millisecondi, mentre la event camera reagisce in microsecondi. In una sperimentazione con i droni condotta da Davide Scaramuzza, direttore del Robotics and perception group dell’università di Zurigo, in Svizzera, è emerso che mentre il tempo di reazione dei sensori anticollisione tradizionali va dai 50 ai 200 millisecondi, una event camera scende sotto i quattro millisecondi, permettendo manovre più rapide per evitare gli ostacoli. La squadra di Scaramuzza sta lavorando anche sui veicoli a guida autonoma, in cui i tempi di reazione sono fondamentali.

I vantaggi delle event camera non si limitano alla velocità. Gli apparecchi classici catturano informazioni superflue come le distese di cielo. Per non sprecare spazio su disco, le immagini sono spesso compresse da un apposito software. Quelle acquisite con la nuova tecnologia, invece, sono quaranta volte più efficienti e non devono essere compresse, spiega Scaramuzza. Inoltre, le event camera non producono mai immagini sfocate. Possono fotografare un proiettile che sfreccia e riprendere con uguale chiarezza la lepre e la tartaruga, risolvendo l’annosa questione di come ricavare fotogrammi nitidi dalle telecamere a circuito chiuso. Le event camera se la cavano bene anche in presenza di luce forte e debole nella stessa immagine. Mentre al sensore classico di un veicolo a guida autonoma può sfuggire un pedone in ombra, con conseguenze disastrose, questi dispositivi individuano ogni minimo movimento anche al buio.

Le event camera sono ancora poco conosciute. Le prime immesse sul mercato, nel 2014, avevano una risoluzione di appena 100x100 pixel. Nel 2019 sono apparse versioni ad “alta risoluzione”, ma tutto è relativo: con i loro 640x480 pixel non superano la fotocamera Apple QuickTake del 1994. Presto però potrebbe arrivare qualcosa di più vicino all’alta risoluzione reale. Sia la Samsung sia la Sony stanno lavorando a una event camera per il mercato di massa. Quella della Sony avrà una risoluzione di 1280x720 pixel. Anche le forze armate statunitensi sono interessate allo sviluppo di questi strumenti, soprattutto a raggi infrarossi.

Probabilmente le event camera saranno importanti in un futuro con droni che consegnano merci, auto che si guidano da sole e robot impiegati in casa e per strada. Non saranno un granché per i selfie, ma saranno comunque un successo. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati