In un cortile polveroso Amina (Achouackh Abakar) estrae dei fili di metallo da copertoni usati. Con questo materiale recuperato crea dei fornelletti che rivende nei mercati e per le strade di N’Djamena, capitale del Ciad. L’ingegno contro la povertà, il duro lavoro contro la precarietà. In pochi tratti Mahamat-Saleh Haroun dipinge la vita quotidiana della stragrande maggioranza degli abitanti delle città a sud del Sahara. Ma Amina non è una donna come tutte le altre. Intanto perché vuole che la figlia Maria (Rihane Khalil Alio) frequenti il liceo, ma soprattutto perché l’ha ostinatamente cresciuta da sola, pagando a caro prezzo il suo desiderio d’indipendenza. Quando Maria, rimasta incinta, è allontanata dalla scuola, Amina traccia per lei una strada difficile: un aborto (illegale nel paese) che possa evitarle il destino sofferto dalla madre. Con semplicità brutale, ma non senza lirismo, il film descrive un mondo in cui gli uomini sono ostacoli o minacce alla libertà delle donne. A loro si contrappongono i gesti, piccoli o spettacolari, delle donne. Oltre alla forza delle interpretazioni, il film sfugge alle trappole didascaliche grazie all’energia, alla rabbia e all’eleganza che Mahamat-Saleh Haroun riesce a dispensare.
Thomas Sotinel, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati