L’offerta da 43 miliardi di dollari fatta da Elon Musk per comprare Twitter solleva grossi interrogativi non solo per i suoi utenti, ma per tutte le società democratiche. Gli enormi profitti del settore tecnologico hanno creato un gruppo di persone talmente ricche da poter prendere il controllo di intere aziende della comunicazione e dell’informazione. Jeff Bezos ha comprato il Washington Post, Marc Benioff possiede Time, la vedova di Steve Jobs è tra i principali azionisti dell’Atlantic, Patrick Soon-Shiong ha comprato il Los Angeles Times e altri quotidiani statunitensi.

Musk promette che la sua priorità sarà difendere la libertà d’espressione e la democrazia, ma la libertà d’espressione può avere diverse sfumature culturali e legali, ed è stata spesso usata per giustificare diffamazione, disinformazione, incitamento alla violenza e altri reati. Quale versione della libertà d’espressione intende sostenere Musk? Il fatto che una sola persona possieda per intero Twitter rischia di aggravare le cose. Per non parlare del potenziale conflitto d’interessi: se Musk avesse il diritto di decidere chi può usare Twitter, potrebbe sfruttarlo a suo vantaggio.

Le piattaforme tecnologiche hanno creato alcune delle più grandi ricchezze del mondo, tra cui quella del cofondatore di Twitter, Jack Dorsey. Qualcuno potrebbe chiedersi che differenza fa se un social network passa da un miliardario all’altro. È proprio questo il punto: gli oligarchi della tecnologia controllano una parte consistente dell’infrastruttura delle comunicazioni. Oggi più che mai comprendiamo le implicazioni del fatto che i canali d’informazione nazionali e internazionali sono controllati da miliardari. Un’acquisizione dopo l’altra, rischiamo di ritrovarci con una versione della democrazia che solo i ricchi possono permettersi. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati