Noto soprattutto per i deserti e il caldo estremo, il regno dell’Arabia Saudita è stato scelto il 4 ottobre per organizzare i Giochi panasiatici invernali del 2029. Non c’è da sorprendersi se la somma di queste informazioni produce un cortocircuito. La Cina aveva fatto da apripista a febbraio, ospitando le Olimpiadi invernali a Pechino, dove per la prima volta è stata usata solo neve artificiale.

I giochi asiatici invernali si svolgeranno nella provincia di Tabuk, una terra al confine con la Giordania e bagnata dal mar Rosso. Siamo davanti allo stretto di Tiran, che separa la provincia dalla città egiziana di Sharm el Sheikh, dove a novembre si terrà la Cop27 sul clima. Lì i rappresentanti di vari paesi potranno discutere della parabola saudita, che illustra bene la subordinazione degli interessi ambientali agli imperativi del potere e del prestigio.

Nel 2021 l’Arabia Saudita ha lanciato la sua “Iniziativa verde” per azzerare le emissioni a effetto serra entro il 2060. Si parla di piantare miliardi di alberi, ridurre le emissioni di gas serra dal 2030 e raddoppiare le zone protette, compresa la provincia di Tabuk. Il 24 settembre, all’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il delegato saudita ha ribadito ancora una volta l’impegno del suo paese nella lotta contro il riscaldamento globale. Questi lodevoli obiettivi sono evidentemente compatibili, nella logica saudita, con lo sfregio ambientale che comporterà la preparazione e la realizzazione dei giochi. La loro organizzazione non ha niente a che vedere con lo sport né con l’ecologia. Si tratta di promuovere un progetto che sta a cuore all’uomo forte di Riyadh, il principe ereditario Mohammed bin Salman, da poco nominato primo ministro: la creazione dal nulla di una città futuristica, Neom, proprio nella provincia di Tabuk.

Mohammed bin Salman, la cui reputazione è macchiata dall’omicidio del dissidente e giornalista Jamal Khashoggi nell’ottobre del 2018, cerca in realtà di imitare, con qualche decennio di ritardo, Dubai negli Emirati Arabi Uniti. È prevedibile che l’arroganza lo abbia portato ad abbracciare l’idea di organizzare delle olimpiadi invernali in pieno deserto. È tuttavia vergognoso che la leva dei soldi spinga i comitati organizzatori di questi eventi ad abbandonare ogni altra considerazione e a restare sordi davanti alla presa di coscienza delle società sui costi sempre più alti della mancanza di regole sul clima. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati