Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha cancellato le pene di chi era stato condannato per il reato federale di possesso di cannabis. L’indulto ha un valore simbolico, perché la maggior parte delle condanne per possesso di cannabis avviene a livello dei singoli stati. Il proibizionismo, oltre a essere inefficace, contrasta con diritti come la libertà di decidere sul proprio corpo. Inoltre, le persone condannate per possesso di marijuana hanno grandi difficoltà a trovare un lavoro, un alloggio e una formazione. All’atto pratico questo penalizza soprattutto i poveri e gli afroamericani, che rappresentano una percentuale elevata dei cittadini con redditi bassi.

In Brasile una ricerca di Agência pública, che ha analizzato circa quattromila sentenze per crimini legati alle droghe nello stato di São Paulo nel 2017, ha rivelato che i neri sono stati condannati anche se in possesso di piccole quantità di stupefacenti. Il 71 per cento di loro è stato condannato per un possesso medio di 145 grammi di marijuana. Mentre il 64 per cento dei bianchi aveva in media 1,14 chili, quasi otto volte di più. I dati evidenziano una lacuna nella legge sulle droghe del 2006, che non fissa il limite che separa l’uso personale dallo spaccio di stupefacenti.

Di conseguenza, i giudici emettono sentenze basandosi su elementi “contestuali”, come il luogo dell’arresto, il livello d’istruzione e la condizione economica dell’accusato. Il razzismo nella società e la presenza del narcotraffico nelle comunità più svantaggiate porta un numero sproporzionato di neri e poveri in prigione. In Brasile i politici hanno paura di affrontare l’argomento o sono legati a tabù conservatori. Così il proibizionismo produce arresti evitabili e fornisce manodopera alla criminalità. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati