Daniel ha una tavola da surf tatuata sul braccio, la faccia coperta di crema solare e un’unica fede: l’onda. Ha lasciato i Paesi Bassi, dove è nato, e si è preso un anno sabbatico. Il suo viaggio è cominciato a Barra de la Cruz. Come lui più di tremila persone ogni anno, da marzo a ottobre, arrivano in questo villaggio del sud del Messico in cerca dell’onda perfetta. “Questo posto somiglia a una terra inesplorata, è magnifico per fare surf in pace”, dice. “L’estate del 2021 tutto il mondo ha visto la World surf league, che si è svolta qui, e ora anche i surfisti più famosi vengono per girare dei video”.

Prima di adattarsi al ritmo delle stagioni turistiche, questo villaggio di appena 1.500 abitanti viveva solo di pesca e di agricoltura. Nel 2006 è stata organizzata una tappa della Rip curl international, una delle più famose competizioni di surf. All’epoca la comunità locale era piuttosto divisa. Temeva che un evento del genere potesse destabilizzare il suo ecosistema meraviglioso, ma molto delicato. Così gli abitanti hanno chiesto che sui video legati alla manifestazione il posto fosse indicato con il nome generico di “la jolla”, il gioiello, e con questa sola indicazione geografica: “Da qualche parte in Messico”. Nonostante questi accorgimenti, il nome di Barra de la Cruz si è diffuso rapidamente su internet. Nell’agosto 2021 la birra Corona lo ha scelto per una tappa della gara internazionale di surf che sponsorizza.

Lungo la costa di Oaxaca, Barra de la Cruz vanta una spiaggia bianca incontaminata, e si trova a metà strada tra due paradisi del surf, Puerto Escondido e Salina Cruz, che non godono più di un’ottima reputazione a causa della grande crescita immobiliare. Barra de la Cruz invece ha saputo conservare un’autenticità che cattura i turisti.

José Castillo, detto Pepe, ha capito subito il potenziale del luogo. Partito a diciassette anni per gli Stati Uniti, è tornato dopo dieci con un’idea: far crescere il turismo nel luogo in cui è nato. “Nessuno immaginava che avrebbe attratto tante persone”, dice il padre di Pepe, che gli ha dato i primi terreni per cominciare l’attività. Oggi Pepe possiede quindici bungalow, di cui cinque climatizzati. “Prima non ce n’erano altri”, aggiunge con orgoglio il padre. A poco a poco l’esempio di Pepe è stato seguito da altre persone del posto, ma le sue strutture sono le più richieste.

Nelle assemblee popolari, in cui si riunisce e vota la comunità locale, le discussioni sul futuro del villaggio sono ogni volta più accese. Il 7 settembre 2013, dopo una di queste riunioni, 23 ettari di terre della comunità lungo la spiaggia sono state assegnate ad alcuni abitanti del villaggio. All’epoca sulla costa non c’erano costruzioni, a eccezione di un ristorante gestito dal gruppo di Pepe. Lui si è opposto ferocemente a quella divisione. Il capo del suo gruppo, che si presenta come un ecologista, accusa gli abitanti di voler vendere la loro terra agli stranieri e distruggere la costa, com’è già successo altrove nella zona. Inoltre, ritiene che se le nuove costruzioni saranno troppo vicine alla spiaggia, la perfezione delle onde potrebbe essere compromessa.

In realtà, Pepe vuole ostacolare la concorrenza. Una trentina di persone vicine a lui hanno presentato ricorsi amministrativi e giudiziari per far annullare l’atto di divisione delle terre, ma senza successo.

Il 25 ottobre 2018 Noel Castillo, tassista, tesoriere della comunità e responsabile della divisione, è stato torturato e ucciso nella sua casa, dopo un’assemblea popolare su quelle terre. L’omicidio, insieme a quello del suo predecessore un anno prima, s’inserisce in quella che sembra essere diventata una guerra locale. “Il suo cranio era praticamente disintegrato. Solo una persona priva di qualunque umanità ha potuto fare una cosa del genere”, commenta il fratello e collega Severiano. Secondo lui l’omicidio è stato un messaggio rivolto a chi vuole dividere le terre. “Potrebbe succedere la stessa cosa anche a me. Dopo Noel altri abitanti del villaggio sono stati torturati o aggrediti”. Traumatizzato dalla morte del fratello, Severiano ha deciso di tornare a fare solo il tassista.

Dietro l’apparenza

Davanti al nome di Noel le bocche si chiudono, i volti si fanno tesi e gli sguardi diventano sfuggenti. Nel villaggio vicino una donna dice di appartenere al gruppo dei “senza terra”. Ha cercato di tenersi il terreno che le era stato assegnato, ma dopo le minacce subite ha abbandonato l’idea. Non aggiunge altro per paura di avere “problemi”. “Potrebbero uccidermi”, dice. Un’altra (che non vuole dire il suo nome) trova ingiusto che “solo una parte degli abitanti, cioè Pepe e i suoi amici, possano guadagnare col turismo”.

Mentre nel 2013 più di 120 persone volevano costruire sulle terre ricevute, oggi sono solo una decina, scoraggiate dalle intimidazioni, dai danni ai materiali e nei casi peggiori dalle aggressioni fisiche.

Chi si oppone a Pepe si rifiuta di parlare. Per incontrare qualcuno disposto a farlo bisogna andare fuori dal villaggio. “Tutti amano Barra de la Cruz, le sue onde e la natura meravigliosa, ma non sanno quello che la comunità sta passando in questo momento. Io vivo nella paura di essere ucciso”, dice un uomo mentre mostra delle immagini sul suo telefono che lo ritraggono con la maglietta insanguinata. “Abbiamo bisogno d’aiuto, ma nessuna autorità vuole ascoltarci. Per tre volte mi hanno minacciato di morte e sono stato torturato. Ormai devo nascondermi come un criminale”.

Lo stabilimento turistico gestito da Pepe Castillo.

Alcuni, rassegnati, hanno smesso di battersi: “Non voglio più avere problemi, perché continuare a rischiare la vita per un pezzo di terra?”. Tutti questi testimoni hanno preferito restare anonimi.

Una sera nella piazza principale del villaggio si festeggia un matrimonio. Gli altoparlanti risuonano per le strade, dei turisti passano per bere una birra, ma né Pepe né i suoi principali oppositori partecipano. La tensione è evidente. Il sindaco, vicino alle posizioni di Pepe, dice: “Abbiamo qualche piccolo problema, come tutte le comunità”. Secondo lui quello di Noel è stato un delitto passionale. La sua principale preoccupazione resta il surf, da cui dipende il 70 per cento delle entrate di Barra de la Cruz. “Se la spiaggia dovesse essere distrutta, le conseguenze sarebbero inimmaginabili per la nostra comunità”. Lo stesso Pepe non è uscito indenne da questa battaglia. Vive ormai barricato in casa, sotto la stretta sorveglianza dei suoi uomini. Le finestre sono ricoperte da grandi teli bianchi. A cinquant’anni sembra l’ombra di se stesso. Due cavità gli segnano la testa. Nel settembre 2021, un mese dopo la World surf league, mentre guidava la sua auto due uomini in moto gli hanno sparato colpendolo alla testa. È sopravvissuto per miracolo. “Ero convinto che non avrebbero mai osato attaccarmi direttamente. Dopo l’aggressione non riuscivo a parlare, riconoscevo le persone ma ero paralizzato”, ricorda. Da quel giorno non incontra più nessuno, vive nell’angoscia. Dice di avere solo un’ossessione: preservare questo luogo. “Penso che gli autori di questo crimine siano persone interessate alla spiaggia. Hanno pagato dei sicari per aggredirmi”, dice. “Il motivo è la mia opposizione a chi vuole costruire sulla spiaggia, nel posto in cui s’infrangono le onde. Ho passato anni a battermi per tenere la spiaggia così com’è. Non permetterò mai che portino a termine i loro progetti”.

Severiano Castillo Aguilar mostra la foto del fratello Noel, ucciso dopo un’assemblea popolare in cui si discuteva la suddivisione delle terre lungo la spiaggia di Barra de la Cruz.

Dall’altra parte della barricata sono in molti a dare a Pepe, da alcuni soprannominato “il dittatore”, la responsabilità di quello che sta succedendo. Secondo loro è lui all’origine di tutta questa violenza: “Finora, in un paese in cui i crimini più violenti sono all’ordine del giorno, nessuno è indagato. Nel frattempo i turisti continuano ad arrivare. Su Tripadvisor i bungalow di Pepe hanno una valutazione di 4,5 su 5 e i commenti arrivano da tutto il mondo: ‘On veut revenir’(Vogliamo tornare); ‘The place to be!’(Il posto ideale!). Ma nessuno parla della situazione che lacera la comunità”. ◆adr

Nicola Zolin è un fotografo italiano. Paloma de Dinechin è una giornalista francese. Questo reportage è uscito sul quotidiano francese Libération.

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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati