In due mesi la coalizione al governo in Israele, che unisce conservatori, forze di estrema destra e partiti di stampo religioso, ha suscitato uno dei più vasti movimenti di protesta nella storia del paese. La riforma della giustizia proposta dalla coalizione divide gli israeliani. Pericolosamente. I magistrati la considerano un tentativo di limitare i poteri della corte suprema, che è al tempo stesso corte d’appello amministrativa, civile, penale e costituzionale. I suoi quindici giudici incarnano l’unico contropotere istituzionale in un paese in cui il parlamento (la knesset) è formato da una sola camera. Temono che una maggioranza semplice alla knesset basterà per adottare qualunque legge. Un pericolo in un paese che non ha una costituzione scritta e non è vincolato ai testi internazionali di protezione dei diritti umani.

Sotto processo per corruzione dal 2021, il premier Benjamin Netanyahu sta instaurando un rapporto di forza tossico con i giudici. È vero che in parlamento lui e i suoi alleati dispongono di 64 seggi su un totale di 120. Ma sono stati eletti con meno del cinquanta per cento dei consensi, lo scorso autunno. Quindi non possono rivendicare l’ampio consenso che serve a una riforma simile. Devono ascoltare l’appello del presidente Isaac Herzog a sospenderla per avviare un dialogo con l’opposizione, includendo anche i cittadini palestinesi d’Israele, che sono il 20 per cento della popolazione.

La crisi in atto covava da tempo. La corte suprema non è mai stata un’irreprensibile protettrice delle minoranze, dei diritti umani e della democrazia come vorrebbero far credere oggi i suoi difensori. In spregio del diritto internazionale, i suoi giudici hanno lasciato che dal 1967 il governo promuovesse la colonizzazione dei territori palestinesi. E hanno contribuito a consolidare un regime duale, che offre ai coloni israeliani la tutela di un quadro giuridico simile a quello dei cittadini dello stato ebraico e lascia i palestinesi alla mercé dell’arbitrio militare.

È questo il regime che i sostenitori della riforma intendono perfezionare. Vogliono portare il paese verso l’annessione di fatto – e, alla fine, di diritto – dei territori palestinesi. Per riuscirci si sono rivoltati contro i giudici con l’appoggio dei partiti ultraortodossi, preoccupati di preservare la loro comunità dalle presunte ingerenze dello stato. Questa riforma accentua una fuga in avanti che deve essere fermata. ◆ fdl

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati