Tra gennaio e aprile la deforestazione dell’Amazzonia è diminuita del 38 per cento, un dato che va festeggiato. Ma è sempre più evidente la minaccia che incombe sul Cerrado. Nello stesso periodo la savana tropicale, caratterizzata dalla maggiore biodiversità al mondo, ha perso il 60 per cento di vegetazione. L’Instituto nacional de pesquisas espaciais ha valutato in 1.132 chilometri quadrati la scomparsa del bioma (una macro-regione caratterizzata da flora, fauna e clima particolari) amazzonico, mentre nel Cerrado il dato sale a 2.206 chilometri quadrati. L’Amazzonia attira giustamente l’attenzione della comunità internazionale e della popolazione brasiliana. Il presidente Lula ha ripristinato la protezione delle terre native e la ministra dell’ambiente, Marina Silva, ha proposto un piano contro la deforestazione.

Ma è ora di occuparsi anche del Cerrado. Per legge, i proprietari terrieri della zona possono abbattere tra il 65 e l’80 per cento della vegetazione selvatica, mentre in Amazzonia il limite è del 20 per cento. Nella savana solo il 7 per cento della superficie è protetto e diviso in unità di conservazione, mentre nella foresta del nord si arriva fino al 50 per cento. II Cerrado comprende 25mila chilometri quadrati di terreni pubblici e buona parte dei 300mila chilometri quadrati di pascoli sotto utilizzati del Brasile. I terreni pubblici, soggetti ad accaparramenti illegali, dovrebbero far parte delle unità di conservazione, mentre i pascoli dovrebbero essere destinati all’espansione agricola. La regione ospita fonti d’acqua decisive per la fornitura di energia. Eppure il flusso del 90 per cento dei bacini si è molto ridotto dal 1985 a oggi. Ci sono forti dubbi sulla volontà politica di dare la priorità al Cerrado. Un aiuto potrebbe arrivare dall’Unione europea, se inserisse delle restrizioni sui prodotti ricavati con la deforestazione della savana. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati