Michael Cunningham (Leonardo Cendamo, Getty)

Proprio come è successo con l’11 settembre, che ci ha messo qualche anno a penetrare nella narrativa, così sta avvenendo per il covid-19. Day di Michael Cunningham fa parte di una recente ondata di romanzi sul tema della pandemia che offre agli scrittori ricche possibilità, sia drammaturgiche sia metaforiche. Strutturato sapientemente come un bel testo teatrale, il nuovo romanzo di Cunningham racconta le vicende di una turbolenta famiglia allargata di Brooklyn che accadono il 5 di aprile di tre anni consecutivi: il 2019, prima della pandemia; il 2020, durante gli snervanti mesi di confinamento; e il 2021, quando il peggio era passato. Il primo atto del romanzo si svolge di mattina, il secondo a mezzogiorno e il terzo la sera. Sebbene sia ingegnosamente costruito, Day non riesce a raggiungere le note alte del romanzo più famoso di Michael Cunningham, Le ore. L’ostacolo maggiore sono i personaggi. È difficile immedesimarsi e simpatizzare con i loro problemi da trentenni delusi. E ancora peggio, le riflessioni dei due protagonisti più giovani, bambini che vanno ancora a scuola, non sembrano realistiche, neanche per dei precoci ragazzini newyorchesi. Nathan e Violet, dieci e cinque anni all’inizio del romanzo, sono i figli di Isabel Walker, una photo editor che perde presto il lavoro in una rivista d’arte, e di Dan Byrner, ex rock star di secondo piano ed ex tossicodipendente “dolcemente illuso” di poter tornare a suonare. Il punto di forza di Day sta nella struttura narrativa e nei dialoghi. Cunningham scrive benissimo e tira fuori un’osservazione acuta dopo l’altra. Nel presentare una Isabel sempre più distaccata dalla famiglia e pronta per andare al lavoro il 5 aprile 2019, nota che la sua camicetta bianca “è sbottonata proprio in quell’asola che divide la dignità dall’esibizionismo”. Non si leggono i romanzi di Cunningham per la trama, ma meglio comunque non rivelare che succede. Day è una triste storia di delusioni e soprattutto parla di una maturità per troppo tempo rimandata e di un’infanzia che finisce troppo presto. Ma è anche un invito a rimboccarsi le maniche e ricominciare. Day non lascia senza speranza.
Heller McAlpin, Npr

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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati