A gennaio nell’atmosfera terrestre si sono disintegrati più di cento satelliti per le telecomunicazioni, vaporizzandosi mentre cadevano verso il nostro pianeta a una velocità di circa otto chilometri al secondo. Queste uscite di scena spettacolari sono concepite per impedire che i satelliti dismessi occupino spazio prezioso nell’orbita terrestre o che precipitino sulla superficie in modo incontrollato. Nel 2022 la Federal communications commission (Fcc), l’agenzia federale statunitense che approva il lancio di satelliti per le telecomunicazioni, ha disposto che dopo cinque anni tutti devono abbandonare l’orbita per ridurre l’inquinamento spaziale. Norme simili sono in vigore anche altrove.

Malgrado le buone intenzioni, però, questa “fine programmata” ha anche conseguenze involontarie. Quando si disintegrano, infatti, i satelliti disperdono nella stratosfera (lo strato dell’atmosfera compreso tra dieci e cinquanta chilometri al di sopra della superficie terrestre) particelle dei metalli di cui sono fatti, come alluminio, rame, litio e niobio. Se in passato le quantità erano trascurabili, gli undicimila satelliti oggi in orbita – più le domande per lanciarne un altro milione depositate presso l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, un’agenzia delle Nazioni Unite – rischiano di modificare la chimica dell’atmosfera su vasta scala. “C’è molta preoccupazione”, ha dichiarato a novembre Daniel Murphy della National oceanic and atmospheric administration statunitense. “Rilasciamo queste sostanze senza sapere come si comportano, e i numeri aumentano in modo esponenziale”.

L’atmosfera terrestre è bombardata da corpi estranei, cioè meteoroidi e polvere cosmica, da miliardi di anni. Ma questo caso è diverso. Secondo un rapporto del 2024 dell’Agenzia spaziale europea, l’afflusso di materia naturale è di circa 12.400 tonnellate all’anno. Nel 2019, l’ultimo di cui abbiamo i dati, l’umanità ne ha aggiunte circa 890, e i numeri continuano a crescere.

“Non si tratta solo della quantità totale, ma dei diversi metalli”, dice John Plane dell’università di Leeds, nel Regno Unito. Rispetto alla polvere cosmica, i rottami spaziali immettono nell’atmosfera dieci volte più litio e maggiori quantità di nuovi metalli esotici. In un articolo pubblicato nel 2023 Murphy e i colleghi hanno calcolato che una particella di aerosol su dieci nella stratosfera contiene metalli provenienti da satelliti.

Quanto permangono e come si comportano le particelle? Ci sono motivi per preoccuparsi. Quelle di alluminio, per esempio, potrebbero legarsi all’ossigeno e formare molecole di allumina, creando una superficie su cui possono avvenire altre reazioni chimiche. Dalle molecole di cloruro di idrogeno si potrebbe sprigionare il cloro, capace di distruggere l’ozono che protegge la Terra dalla radiazione ultravioletta. Altri elementi come il rame sono catalizzatori in grado di accelerare reazioni chimiche senza consumarsi. Via via che la loro concentrazione aumenta, i catalizzatori potrebbero continuare ad accelerare le reazioni a tempo indefinito.

La privatizzazione del cielo
Numero di satelliti lanciati in un anno (Planet4589.org)

Poca vigilanza

Per ora abbiamo più domande che risposte. I ricercatori di tutto il mondo stanno tentando di colmare le lacune delle loro conoscenze. Oltre alle attrezzature per il monitoraggio, però, manca la vigilanza. La maggior parte dei satelliti per le telecomunicazioni, la tipologia più diffusa, viene lanciata dall’azienda statunitense SpaceX, la cui costellazione Starlink, che ne conta quasi settemila, rappresenta il grosso dei satelliti orbitanti. Anche se la Fcc impone che i satelliti siano sottoposti a verifica delle ricadute ambientali, la regola non vale per quelli destinati alle megacostellazioni, formate da almeno cento elementi. Nel 2022 il Government accountability office, un ente certificatore del Congresso statunitense, ha raccomandato all’agenzia di studiare l’impatto ambientale delle costellazioni più grandi, ma non ha ancora pubblicato il suo rapporto.

Gli Stati Uniti potrebbero non restare per sempre gli unici a dominare l’atmosfera. Anche la Cina, l’Unione europea e altri progettano le loro megacostellazioni. Pechino progetta di lanciarne almeno tre, che insieme comprenderanno 38mila satelliti, e la costellazione europea Iris ne conterà 290. Il Ruanda, un concorrente inatteso, ha presentato una domanda per due costellazioni con più di 327mila satelliti. L’Unione europea e il Ruanda stanno preparando delle norme ambientali. Le leggi cinesi non prevedono esplicitamente una valutazione, ma richiedono che l’ambiente spaziale sia tutelato.

Ci sono delle soluzioni tecnologiche. I satelliti potrebbero essere più piccoli, anche se la tendenza attuale non va in quella direzione. Quelli di Starlink pesano circa ottocento chili al momento del lancio, ed Elon Musk, il proprietario della SpaceX, prevede che le future generazioni saranno ancora più pesanti. Alcuni scienziati hanno proposto materiali alternativi come la fibra di carbonio o il legno, che ridurrebbero il ricorso a sostanze esotiche ma rischiano di avere altri effetti negativi. Il legno, per esempio, potrebbe rilasciare nell’atmosfera grandi quantità di fuliggine nera, in grado d’intrappolare il calore e oscurare il cielo.

Un’altra questione riguarda la fine del ciclo di vita dei satelliti. “L’idea era che durante il rientro tutto il materiale restasse in pezzi abbastanza grandi da cadere fuori dall’atmosfera e non accumularsi nella stratosfera”, dice Martin Ross dell’azienda statunitense Aerospace Corporation. Ma questa idea si è rivelata sbagliata. Secondo alcuni ricercatori la Fcc dovrebbe rivedere la regola dei cinque anni e prolungare la vita dei satelliti commerciali in modo da ridurre il numero dei lanci. Altri suggeriscono che le megacostellazioni potrebbero essere condivise tra più paesi. Con l’aumento delle tensioni internazionali, però, questa ipotesi sembra campata in aria. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati