L’Europa doveva diventare il primo continente a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Il 100 per cento delle auto nuove vendute a partire dal 2035 doveva essere “a emissioni zero”. Bruxelles sarebbe stata all’avanguardia di un nuovo mondo, più ecologico e più sobrio. Il green deal risale al 2019. Sono passati appena sei anni, ma in realtà sembra un secolo fa. I negazionisti climatici sono andati al potere negli Stati Uniti, la Russia è diventata sempre più minacciosa, la Cina ha inondato l’Europa con i suoi prodotti e l’estrema destra cresce dovunque, difendendo gli interessi delle aziende anche a rischio di compromettere il futuro del pianeta e la salute dei consumatori.

Il 16 dicembre l’Unione europea ha rinunciato a imporre alle case automobilistiche di produrre solo veicoli elettrici a partire dal 2035, cedendo alle pressioni dei tedeschi e dell’estrema destra, che chiedevano di autorizzare una produzione limitata di auto termiche per contrastare la concorrenza delle aziende cinesi. Non sarà la fine del green deal, ma solo una frenata dovuta a esigenze economiche e industriali immediate. Il problema è che Bruxelles di questi tempi ha la tendenza a frenare spesso, quando si parla di ambiente.

La direttiva che dovrebbe obbligare i grandi gruppi europei ad assicurarsi che i loro fornitori non violino i diritti umani e non distruggano l’ambiente è stata svuotata della sostanza e rinviata, mentre il meccanismo di rivalutazione dei pesticidi nell’Unione europea è stato “semplificato”. C’è il rischio che le politiche ambientali continuino a essere smantellate. Le minacce politiche, economiche e militari che gravano sull’Europa hanno innescato una corsa al “si salvi chi può” che spinge a privilegiare il breve termine. In questo contesto bisogna ricominciare a lottare per l’ambiente. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati