Benjamin Netanyahu non ha mai avuto un vero piano per annettere parti della Cisgiordania. Non c’erano un programma, una mappa né una bozza di risoluzione da presentare al governo. Solo un mucchio di promesse elettorali mai mantenute e discorsi vuoti. Il 13 agosto il piano che non pensava di realizzare gli ha fatto segnare un gran colpo diplomatico.

L’accordo per normalizzare le relazioni con gli Emirati Arabi Uniti non è ancora un piano di pace completo. Non c’è un chiaro impegno di Abu Dhabi a fare qualcosa, né si parla di aprire a breve le ambasciate nei due paesi. Ma resta il più visibile e concreto riconoscimento dell’alleanza finora segreta con Israele fatto da uno stato arabo del Golfo. Per Netanyahu è un risultato ottenuto senza pagare alcun prezzo, a parte la “sospensione” di un’annessione che comunque non avrebbe mai messo in atto.

Una protesta nella città palestinese di Asira ash-Shamaliya, il 17 luglio 2020 (Mohammad Torokman, Reuters/Contrasto)

Tutti i suoi predecessori, sostenuti dalla “comunità internazionale”, avvertivano che Israele avrebbe affrontato isolamento globale, tsunami diplomatici e una valanga di boicottaggi se non avesse accettato uno stato per i palestinesi. Neta­nyahu ha svelato il loro bluff e il 13 agosto ha provato che aveva ragione. Gli stati arabi dimostrano nel migliore dei casi un’adesione puramente formale alla causa palestinese.

Tempo e voglia

È presto per dire se questo aiuterà Neta­nyahu sul fronte interno. Non cancellerà il suo fallimento nella gestione dell’epidemia di covid-19 né lo salverà dall’obbligo di presentarsi in tribunale quando a gennaio i giudici cominceranno ad ascoltare i testimoni nel processo in cui è accusato di corruzione, ma rafforzerà la sua immagine di statista. Se nei prossimi mesi ci sarà un’altra elezione, avrà qualcosa da usare per distrarre l’attenzione degli elettori.

I grandi sconfitti sono ancora una volta i palestinesi. Un altro regime arabo si muove verso una pace con Israele mentre il riconoscimento di uno stato palestinese è lontano. Anche il candidato democratico alla presidenza statunitense, Joe Biden, ha approvato l’accordo mediato dall’amministrazione di Donald Trump. Negli ultimi trent’anni lo “schieramento della pace” ha ammonito che Israele sarebbe diventato un “paria internazionale” se non avesse risolto la questione palestinese. Questo non accadrà a breve, anche se Trump dovesse lasciare la Casa Bianca. Né il mondo arabo né la comunità internazionale hanno tempo o voglia di esercitare una vera pressione su Israele.

Da sapere
Dichiarazione congiunta

◆ Il 13 agosto 2020 Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno raggiunto un accordo, mediato dagli Stati Uniti, per lavorare a una “piena normalizzazione delle relazioni”. I palestinesi l’hanno definito un “tradimento”. Israele ha acconsentito a “ritardare” l’annessione di parti della Cisgiordania occupata, anche se il piano “resta sul tavolo”. La dichiarazione congiunta chiarisce che nelle prossime settimane delegazioni israeliane ed emiratine s’incontreranno per firmare accordi bilaterali su investimenti, turismo, voli diretti, sicurezza, telecomunicazioni e altri temi. Gli Emirati sono il primo paese del Golfo e la terza nazione araba – dopo l’Egitto e la Giordania – ad annunciare legami diplomatici attivi con Israele.

Al Jazeera


La questione palestinese non è sparita. Ci sono milioni di palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza privi di diritti. È crollato però l’insieme di argomentazioni usate per difendere la necessità di una soluzione. È difficile definire “insostenibile” l’occupazione che va avanti da 53 anni ora che Netanyahu ha dimostrato non solo che è sostenibile, ma che Israele può continuarla mentre migliora i rapporti con il mondo arabo alla luce del sole.

Questo deve essere un momento di riflessione per chi è ancora convinto che la condizione dei palestinesi sia un’ingiustizia da risolvere con due stati, un solo stato o nessuno stato. Le minacce contro l’intransigenza israeliana si sono dimostrate vuote come la promessa di annessione fatta da Netanyahu. Bisogna costruire un’argomentazione nuova per sostenere la pace con i palestinesi. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1372 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati