Martedì 11 agosto mia figlia Marta Klinova è stata condannata a quindici giorni di detenzione. Aveva fatto l’osservatrice in un seggio elettorale per le presidenziali del 9 agosto e insieme ai colleghi aveva scoperto che i dati sulla partecipazione degli elettori al voto anticipato erano stati alterati: il numero dei votanti era stato ingigantito. Sono venuti a prenderla la sera dell’8 agosto. Secondo il rapporto di un gruppo di quattro “compagni”, Marta avrebbe imprecato ad alta voce, avrebbe opposto resistenza agli agenti della milizia e commesso la solita sequela di malefatte di cui è accusato, come da copione, chi prende parte alle proteste.

Per tre giorni non abbiamo saputo dov’era. Le persone arrestate sono così tante (il 13 agosto circa settemila) che l’apparato repressivo è sovraccarico di lavoro. Forse le istituzioni non sapevano davvero in quale prigione era Marta. Poi, l’11 agosto, è stata portata in tribunale e il giudice, senza pensarci un secondo e senza interrogare neanche uno dei cosiddetti testimoni, le ha appioppato quindici giorni di carcere. Ho visto gli occhi di quel giudice: il cinismo aveva sostituito ogni residuo di umanità, ma vi si leggevano anche tracce di nervosismo e paura. Quelli come lui lo sanno bene: la città è assediata e sta bruciando. Presto saranno chiamati a rendere conto di quello che hanno fatto.

In Bielorussia è in corso una rivoluzione. Nessuno se l’aspettava. A Minsk i clacson suonano giorno e notte. Nonostante la brutale repressione delle proteste, in città regna un’atmosfera festosa e si avverte che il cambiamento è imminente. Sono proteste diverse da quelle degli anni passati per due aspetti fondamentali. Primo: si stanno svolgendo in tutto il paese. Secondo: i precedenti tentativi di cambiare il sistema erano il frutto dell’impegno di una minoranza politicizzata, mentre oggi sono sostenuti dal paese intero.

Le elezioni presidenziali del 9 agosto, che in teoria dovevano essere più prevedibili che mai, hanno invece portato il regime al collasso. Che il sistema bielorusso sia completamente marcio e debba essere cambiato è noto da tempo ma, anche per semplice forza d’inerzia, i suoi vecchi meccanismi avrebbero potuto continuare a funzionare ancora per qualche anno. Lukašenko, invece, è riuscito in un’impresa quasi impossibile: nel giro di sei mesi ha offeso e umiliato l’intera popolazione bielorussa, mettendosi contro la stragrande maggioranza dei cittadini. Molti bielorussi che alle elezioni hanno votato Tichanovskaja l’hanno fatto non tanto per sostenere lei – candidata fino a poco fa sconosciuta, senza un programma e senza un partito – quanto per schierarsi contro il presidente.

Gli errori del dittatore

Per Lukašenko il 2020 è stato un anno fatale. Nel 2014 il conflitto del Donbass, in Ucraina, gli aveva offerto l’opportunità di rifarsi un’immagine a livello internazionale: da “ultimo dittatore d’Europa” poteva trasformarsi in un semplice leader autoritario, a tratti perfino saggio. Bisogna ammettere che in parte il gioco gli è riuscito. Sono stati in molti a credergli, in Europa come in Bielorussia. Dopo l’aggressione russa in Ucraina si è affermata l’idea secondo cui ogni cambiamento di regime a Minsk sarebbe stato seguito da una contromossa del Cremlino, che avrebbe potuto così attuare i suoi piani per un’annessione mascherata del paese.

Da sapere
Il voto e le proteste

◆ La Bielorussia è guidata dal 1994 dal presidente Aleksandr Lukašenko, che governa con metodi fortemente autoritari un paese ancora molto legato al passato sovietico. Negli ultimi mesi, anche a causa di una gestione improvvisata e inefficace dell’epidemia di covid-19, il suo potere ha cominciato a dare i primi segni di cedimento. La campagna elettorale per le presidenziali del 9 agosto è stata segnata dalla repressione di ogni voce dissidente. Dopo l’arresto dell’ex banchiere Viktor Babariko e del blogger Sergej Tichanovskij, che avevano deciso di sfidare Lukašenko alle urne, Svetlana Tichanovskaja, moglie di Tichanovskij, ha deciso di candidarsi, appoggiata da altre due donne coinvolte nelle attività dell’opposizione: Maria Kolesnikova, collaboratrice di Babariko; e Veronika Tsepkalo, moglie di Valerij Tsepkalo, imprenditore ed ex diplomatico, fuggito in Ucraina dopo aver cercato di candidarsi.

◆Subito dopo la chiusura delle urne e i primi exit poll ufficiali, che assegnavano a Lukašenko l’80 per cento dei voti e a Tichanovskaja il 10 per cento, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Minsk e in altre città del paese, accusando il governo di frodi e manipolazioni. La polizia ha risposto sparando gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Più di seimila manifestanti sono stati arrestati; internet è stato oscurata. Il giorno seguente i risultati sono stati confermati. Arrestata per diverse ore dopo aver accusato Lukašenko di aver manipolato i risultati elettorali, Tichanovskaja si è rifugiata in Lituania. Nei giorni seguenti le mobilitazioni sono continuate e la repressione si è fatta più brutale, innescando una nuova ondata di proteste e scioperi nelle aziende di stato del paese.

◆Il 16 agosto in una conversazione telefonica con il presidente russo Vladimir Putin, Lukašenko ha ricevuto rassicurazioni sulla disponibilità di Mosca a “prestare la necessaria assistenza per risolvere i problemi in corso”. Lo stesso giorno a Minsk almeno duecentomila persone hanno preso parte alla più grande manifestazione di protesta nella storia del paese. Il 17 agosto il presidente bielurusso ha aperto alla possibilità di nuove elezioni dopo l’approvazione di una nuova costituzione. Il 19 agosto, al termine della videoconferenza dell’Unione europea dedicata alla Bielorussia, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha espresso solidarietà a bielorussi e annunciato sanzioni contro i soggetti coinvolti nella repressione delle proteste e nelle frodi elettorali. A Minsk, intanto, è continuata la repressione violenta delle manifestazioni, arrivate al decimo giorno.


Poi, però, è arrivato il 2020, con la pandemia di covid-19, e Lukašenko ha commesso un errore suicida dopo l’altro. Quando il virus ha colpito il paese, avrebbe potuto atteggiarsi a sovrano premuroso, quasi un padre preoccupato per le sorti del suo popolo, e raccogliere così consensi in vista del voto. Invece ha cominciato a fare cose del tutto inadeguate: ha organizzato subbotnik (i sabati di lavoro volontario tipici del comunismo) e parate pubbliche, ha suggerito ai bielorussi di curarsi con la vodka e facendo la sauna, e ha sostenuto che le vittime del covid-19 se l’erano cercata. I bielorussi si sono accorti che per il presidente le loro vite non contano nulla, che sono semplicemente il combustibile necessario per far funzionare un sistema marcio che puzza di carogna sovietica.

In campagna elettorale Lukašenko ha continuato a commettere errori, uno più grave dell’altro. E poi, nelle elezioni precedenti, non aveva mai dovuto affrontare un avversario così temibile. Ovviamente non mi riferisco a nessuno dei candidati, Svetlana Tichanovskaja, l’ex-banchiere Viktor Babariko o l’imprenditore Valerij Tsepkalo. Il vero committente e beneficiario di un cambio di regime a Minsk sarebbe stato il Cremlino. Dal punto di vista dell’organizzazione del voto, la Bielorussia non aveva mai visto elezioni così ben preparate e congegnate. A ogni passo si è sentita la mano esperta e raffinata di un maestro di abilità politica. Eppure nessuno avrebbe immaginato che il Cremlino puntasse a deporre Lukašenko. Piuttosto l’idea sembrava quella di ricreare la situazione del 2010: provocare le autorità bielorusse, innescare la repressione violenta delle proteste e far interrompere il dialogo tra Minsk e l’Europa. Colpito dalle sanzioni occidentali e messo alle strette politicamente, Lukašenko avrebbe avuto come unico interlocutore possibile il Cremlino. Al presidente russo serve un Lukašenko debole, disposto a fare concessioni e pronto a consegnargli di fatto il paese. Uno degli ultimi errori è stato l’annuncio della vittoria elettorale con l’80 per cento dei voti. Con questo gesto le autorità hanno praticamente dichiarato di ritenere i bielorussi una massa di idioti: chi altro potrebbe credere a numeri simili? Il blocco di internet poi ha fatto insorgere anche i cittadini meno politicizzati, spingendoli ad alzarsi dal divano per unirsi alle proteste. Ma a far inferocire tutti è stata soprattutto la repressione senza precedenti contro i manifestanti. L’obiettivo era evidente: la voglia dei bielorussi di scendere in piazza andava soffocata con la brutalità. Il risultato ottenuto, però, è stato esattamente l’opposto. Il piano del regime avrebbe funzionato se ad animare le proteste fosse stata una minoranza, come in passato, e non, come oggi, l’intera popolazione.

La società è insorta. Non vuole più vivere come prima, pretende un cambiamento e a Lukašenko dice: vattene! Con grande sorpresa del presidente e del Cremlino, è entrato in scena un soggetto nuovo: il popolo bielorusso. Nessuno sa come si svilupperà la situazione. A quanto pare le cose non sono andate secondo i piani: le autorità bielorusse non controllano più l’opposizione e il Cremlino non è padrone della situazione. Le informazioni certe sono poche, mentre si moltiplicano voci, ipotesi e teorie del complotto. Il governo di Minsk non sa come muoversi, rimane in silenzio e non trova nulla di meglio da fare che arrestare la gente per strada. Le proteste, invece, non hanno una vera leadership e un programma forte. Dietro le quinte è in corso una partita che deciderà il destino del paese, ma per ora non se ne sa quasi nulla.

Probabilmente molto si chiarirà nei prossimi giorni. Nell’ipotesi peggiore potrebbe esserci un’annessione di fatto della Bielorussia alla Russia. La società bielorussa avrà la forza di reagire? Dipenderà da vari fattori: dalla volontà di difendere la propria indipendenza e il proprio voto e, naturalmente, dalla posizione che assumerà l’Europa e dalla sua solidarietà con i bielorussi che, negli ultimi giorni, hanno fatto capire di essere pronti a combattere e morire per la libertà. Intanto, il 15 agosto è stato il sesto giorno della rivoluzione. E il quarto trascorso senza sapere dov’è mia figlia Marta. ◆ sk

Artur Klinau _è uno scrittore e artista
bielorusso. _

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Questo articolo è uscito sul numero 1372 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati