Arriva settembre, cioè il mese in cui uscirà il nuovo disco dei Verdena, Volevo magia. Sono passati sette anni da Endkadenz Vol. 1 e 2 e questo lasso di tempo è sufficiente per sperare in qualcosa d’interessante: come scrive la poeta Antonella Anedda, “Ogni sette anni si rinnovano le cellule / adesso siamo chi non eravamo. / Anche vivendo – lo dimentichiamo –/ restiamo in carica per poco”. Per chi li segue dagli inizi, i Verdena somigliano a quei compagni o quelle compagne delle superiori espressivi e sovraccarichi di potenziale il cui fascino coincideva con la certezza di uno sfaldamento, di qualcosa dentro di loro che si sarebbe proprio liquefatto nel giro dei primi anni fuori dalla scuola.

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E poi, invece di sapere che si erano persi in questa città o l’altra, qualcuno ti raccontava che lavoravano in un laboratorio di astrofisica in Svezia o in una fabbrica di bambole gonfiabili in California, e che erano andati fuori di testa, ma cambiando grammatica, inventandosi nuove cose, tenendo lo stesso nome forse solo per convenzione. Sono stati, in tutti questi anni, la band delle sorprese, dell’aspettativa che non si è confermata, ma si è sempre tradita poco a poco: a parte una specie di teaser fracassone, non è ancora dato sapere come sarà questo disco. Ma se penso alle ragazze che si sono tatuate dei versi dei Verdena equivalenti a geroglifici di cui non si capiva mai il soggetto, mi viene da pensare che anche stavolta in loro non ci sarà nostalgia rispetto a quell’ancestrale emotività adolescente: bisogna essere grati a una band che cambia, impazzisce o tradisce anche per te. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1476 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati