Questo elegante volume cartonato racchiude un’opera totale che pare concepita per il grande formato, anche se all’origine era una miniserie in tre piccoli albi. Il racconto, particolarmente oscuro e gotico, è ora riproposto in bianco e nero senza i colori sensuali di Lee Bermejo. Eppure il lettore ha di fronte una messinscena grafica all’ennesima potenza. Un fumetto espressionista ma iperrealista, due opposti raramente riuniti, dove l’oscurità trova tutta la sua matericità, l’una speculare all’altra. Se il grande formato esalta il segno grafico, rafforza anche un altro elemento fondamentale, su cui vale la pena di insistere: l’articolazione delle vignette nelle singole tavole e tra le doppie tavole, che raggiunge qui pienamente un movimento coreografico. La contemplazione del balletto delle vignette (in realtà immobili). E dei personaggi al loro interno, che acquistano così una dimensione ancora più ieratica. È una sorta di sinfonia dell’oscurità (esoterica), nella galleria di personaggi dark e mostruosi ma fascinosi della galassia Dc comics, un po’ rivisti. Il nostro preferito è Swamp Thing, il mostro della palude nato negli anni settanta e magnificamente reinventato da Alan Moore negli anni ottanta: la sua imponente massa trova qui la sua ragion d’essere, quella di meandri (paludosi) dell’oscurità che sprigionano tutta la loro fisicità. Batman. Dannato non è lontano da una metafisica di ciò che è fisico. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati