Storia è una parola strutturalmente ambigua: indica un metodo con cui guardare alle testimonianze del tempo passato, capire come e perché le cose sono successe, misurare gli effetti della lontananza cronologica e sviluppare il senso critico; ma anche, quando stinge nella “memoria”, significa un insieme di fatti e nozioni usate per costruire identità talvolta mai esistite, legittimare il presente, anche quello peggiore, selezionare gli eventi e semplificare tutto, annullando le distanze temporali.

Partendo dall’osservazione che i social network tendono a privilegiare questo secondo tipo di storia, Francesco Filippi, esperto delle relazioni tra storia e memoria, e abile decostruttore di luoghi comuni sul fascismo e il colonialismo italiani, offre un utile decalogo per un uso più corretto e meno inutilmente polemico del passato: ai consigli di metodo (evitare di usare il “noi”, non confondere colpa e responsabilità, fuggire l’anacronismo e il “benaltrismo”, considerare più punti di vista, non impiegare il principio di autorità) si aggiungono quelli di opportunità (non usare un linguaggio accademico, non litigare, considerare la relatività delle interpretazioni, non fuggire nel passato). Così, partendo dalla sua distorsione, spiega cosa la storia potrebbe essere: una palestra per capire il mondo attraverso la critica delle fonti, del passato e del presente. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati