Nel 2022, con l’approvazione della legge per la riduzione dell’inflazione (Inflation reduction act, Ira), gli Stati Uniti si sono allineati alle economie avanzate del resto del mondo nella lotta al cambiamento climatico. L’Ira autorizza un aumento della spesa pubblica a sostegno delle energie rinnovabili, della ricerca e dello sviluppo e, stando alle stime, dovrebbe avere un effetto significativo sul clima. Certo, non siamo di fronte a una legge perfetta. Qualsiasi economista avrebbe potuto scriverne una migliore. La politica degli Stati Uniti però è un gran caos e bisogna misurare il grado di successo basandosi su quello che è possibile ottenere e non su nobili ideali. Nonostante le imperfezioni, l’Ira è meglio di niente. Insieme al Chips and science act dello scorso anno – che punta a sostenere gli investimenti sul settore dei microchip, l’industria interna e le innovazioni nel campo dei semiconduttori e di una serie di altre tecnologie all’avanguardia – ha messo gli Stati Uniti nella giusta direzione, andando oltre l’ambito finanziario e concentrandosi sull’economia reale, per dare nuova energia a settori in affanno.

Chi si concentra solo sulle imperfezioni dell’Ira rende un pessimo servizio a tutti. Rifiutando di mettere la questione nella giusta prospettiva, si finisce per sostenere quei gruppi d’interesse che preferirebbero continuare a vederci dipendenti dai combustibili fossili. Le critiche sono arrivate soprattutto dai difensori del neoliberismo e del mercato senza vincoli. Possiamo ringraziare quest’ideologia per gli ultimi quarant’anni di crescita debole, aumento delle disuguaglianze e mancanza d’iniziativa contro la crisi climatica. I suoi sostenitori si sono sempre scagliati con forza contro le politiche industriali come quella sostenuta dall’Inflation reduction act, perfino dopo che nuovi indirizzi nella teoria economica hanno spiegato perché iniziative come questa sono necessarie per promuovere l’innovazione tecnologica. Dopotutto è stato anche grazie a simili politiche industriali se le economie dell’estremo oriente hanno potuto realizzare il loro miracolo economico nella seconda metà del novecento. Anche gli Stati Uniti hanno a lungo tratto benefici dalla pianificazione industriale, pur tenendola ben nascosta all’interno del dipartimento della difesa, che ha contribuito a sviluppare internet e il primo browser. Anche il settore farmaceutico, in cui il paese è leader mondiale, si appoggia sulle solide fondamenta della ricerca finanziata dal governo. L’amministrazione del presidente Joe Biden, quindi, dovrebbe essere lodata per l’aperto rifiuto di due presupposti fondamentali del neoliberismo.

Anche se gli Stati Uniti e l’Europa riuscissero a raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050, non servirebbe a risolvere la crisi climatica

Oggi però molti dei problemi sono globali e richiedono quindi la cooperazione internazionale. Anche se gli Stati Uniti e l’Unione europea riuscissero a raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050, non basterebbe a risolvere il problema del riscaldamento globale. Anche il resto del mondo deve fare lo stesso.

Purtroppo le politiche recenti nelle economie avanzate non hanno contribuito ad alimentare la cooperazione internazionale. Prendiamo il caso del nazionalismo sui vaccini durante la pandemia, quando i paesi ricchi li hanno tenuti per sé, insieme alla proprietà intellettuale per produrli, favorendo i profitti delle compagnie farmaceutiche a scapito di miliardi di persone nei paesi poveri. Poi è arrivata l’invasione russa dell’Ucraina, che ha provocato una crescita dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari nell’Africa subsahariana e altrove, senza che l’occidente muovesse un dito. Peggio ancora, gli Stati Uniti hanno aumentato i tassi d’interesse, rafforzando il dollaro rispetto ad altre valute, e aggravando le crisi del debito nelle economie emergenti. Anche in questo caso l’occidente non ha fatto nulla.

Dato il contesto, l’Ira e il Chips act potrebbero rafforzare l’idea che le leggi valgono solo per chi è povero e debole, mentre chi è ricco e potente può fare come gli pare. Per decenni le economie in via di sviluppo hanno protestato contro le norme globali che impedivano di sostenere con dei sussidi le loro industrie nascenti, sulla base dell’idea che così facendo avrebbero avuto un vantaggio. Hanno però sempre saputo che non c’erano regole uguali per tutti. L’occidente aveva tutte le conoscenze e non esitava ad accumularne più che poteva.

Ora, con le loro politiche industriali, Stati Uniti ed Europa stanno ammettendo che è necessario riscrivere le regole. Ma ci vorrà tempo. Intanto, per evitare che i paesi a medio e basso reddito si arrabbino ancora di più (e a ragione), i governi occidentali dovrebbero creare un fondo dedicato alla tecnologia aperto a tutti. Contribuirebbe se non altro a riequilibrare il campo e creerebbe le condizioni per il genere di solidarietà internazionale di cui avremo bisogno in futuro per affrontare la crisi climatica e altre sfide. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati