Ruska Jorjoliani
Ardesia
Italo Svevo, 128 pagine, 16 euro

Ardesia si apre con una nipote che assiste allo scavo della tomba clandestina del bisnonno – bandito, ribelle, irrequieto e forse carnefice – sepolto nel giardino di una casa bruciata del caucaso georgiano. Come la benna dell’escavatore che scopre bottiglie, ossa, crani, la penna di Jorjoliani insieme ai resti fa emergere storie, vuoti d’archivio, superstizioni e leggende. Ogni reperto costringe l’autrice a riscrivere la storia del proprio antenato, a confrontarsi con le falle della memoria familiare e, insieme, con quelle di una comunità che forse ha sepolto alla bell’e meglio i propri morti, i fantasmi del novecento sovietico e la violenza passata. La prosa dell’autrice e traduttrice di origini georgiane, che vive a Palermo da quasi vent’anni, procede per digressioni forse rallentando il tempo in superficie, ma cogliendo in maniera controllata quello trapassato. Con suspence riavvolge il nastro e mantiene le bobine in equilibrio tra osservazioni minuziose, riflessioni saggistiche e una lingua narrativa precisa, dentellata da lampi luminosi. Questo è un romanzo che occupa una soglia tra l’archivio storico e la memoria familiare, tra il quotidiano personale e il rito collettivo: il risultato è un libro cangiante che si chiede quale storia debba essere incisa sulla pietra o sulla lapide che ci viene concessa. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1644 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati