Tutti gli occhi sono puntati sull’Iran. Dopo il tentato omicidio dello scrittore Salman Rushdie a New York il 12 agosto non c’è stata una reazione immediata da parte dei funzionari iraniani (dopo tre giorni il governo ha negato ogni coinvolgimento). Eppure, l’ombra della Repubblica islamica è onnipresente.

Lo scrittore britannico di origine indiana viveva con un bersaglio sulla schiena da quando l’ayatollah Ruhollah Khomeini aveva emanato una fatwa, un decreto religioso, contro di lui. Il 14 febbraio 1989 la guida suprema invitò tutti i musulmani a uccidere lo scrittore e i suoi editori a causa della natura considerata blasfema del suo libro I versi satanici. In seguito le tensioni e i tentativi di omicidio si moltiplicarono, costringendo Rushdie a vivere nella clandestinità e sotto protezione, e a usare lo pseudonimo di Joseph Anton.

Musulmano di nascita, Salman Rushdie aveva deciso di essere ateo. Una dimostrazione di apostasia secondo la rigida interpretazione dell’islam sostenuta dalla Repubblica islamica, che cercava di consolidare potere e legittimità a dieci anni dalla rivoluzione che aveva rovesciato lo scià d’Iran. Fu soprattutto in reazione alla campagna condotta dall’ambasciata saudita nel Regno Unito contro il romanzo se la guida suprema prese l’iniziativa: voleva conquistarsi il ruolo di rappresentante dei musulmani al posto del regno wahabita. “In passato la Repubblica islamica ha considerato la fatwa contro Rushdie uno degli strumenti più adatti per rivendicare la leadership del mondo islamico, soprattutto vista la sua attrattiva tra i musulmani fuori dell’Iran”, sottolinea Ali Fathollah-Nejad, ricercatore all’Issam Fares institute dell’università americana di Beirut.

Cavalcando l’onda del malcontento per l’uscita del libro in India, la fatwa fu la prima a prendere di mira in questo modo un autore. Nel 1997 la fondazione rivoluzionaria iraniana 15 Khordad offrì un premio di 2,5 milioni di dollari a chiunque l’avesse eseguita. Ma un anno dopo il governo del riformista Mohammad Khatami assicurò che l’Iran non avrebbe messo in atto il decreto, affermando che il caso era “completamente chiuso”. Le sue parole non furono gradite a tutti; alcuni religiosi e deputati iraniani esortarono a rispettare comunque la fatwa. Anche se la questione sembrava risolta, con l’autore che cominciava a fare apparizioni pubbliche sotto scorta, il decreto non era annullato, tanto che la fondazione religiosa della rivoluzione iraniana offrì, nel 2012, di aumentare la ricompensa a 3,3 milioni di dollari. L’attuale guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, nel 2019 ha scritto su Twitter che la fatwa è “solida e irrevocabile”.

Concessioni tattiche

I motivi dell’attacco a Rushdie del 12 agosto non sono ancora chiari, ma il presunto colpevole sembra aver agito in risposta alla fatwa contro l’autore. Hadi Matar, 24 anni, proveniente dal New Jersey e di origini libanesi, sarebbe stato in possesso di una falsa patente di guida a nome di Hassan Mughniyeh, in riferimento ad Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah, e a Imad Mughniyeh, numero due del partito sciita libanese, ucciso nel 2008 in un’operazione congiunta dei servizi segreti statunitensi e israeliani in Siria. Matar avrebbe anche pubblicato sui social network delle immagini in onore di Qassem Soleimani, il generale a capo dell’unità d’élite Al Quds dei Guardiani della rivoluzione iraniana, ucciso dagli Stati Uniti a Baghdad nel gennaio 2020.

Hadi Matar sembra essere ideologicamente vicino alla Repubblica islamica, ma niente fa pensare per il momento che il suo gesto possa essere stato commissionato. “Considerata l’attrattiva internazionale della forma radicale dell’islamismo iraniano, non possiamo dire in questa fase se ha agito sulla base delle sue convinzioni, ispirato dall’estremismo o se ha eseguito un ordine venuto dall’Iran”, spiega Ali Fathollah-Nejad.

Da sapere
La sentenza di Khomeini

◆ Il 12 agosto 2022 Salman Rushdie, scrittore britannico di origine indiana di 75 anni, è stato accoltellato durante un festival letterario a Chautauqua, nello stato di New York. L’autore dell’attacco, Hadi Matar, un uomo di 24 anni nato negli Stati Uniti da genitori libanesi, è stato arrestato. È accusato di tentato omicidio e aggressione, ma durante la prima udienza in tribunale, il 13 agosto, si è dichiarato non colpevole. Rushdie è stato ricoverato subito in ospedale e dopo due giorni le sue condizioni sono migliorate: è in grado di respirare da solo e di parlare.

Il 15 agosto, dopo tre giorni di silenzio, Teheran ha negato ogni implicazione nell’attacco contro Rushdie, attribuendo la responsabilità dell’accaduto allo scrittore e ai suoi sostenitori.

◆Nel 1989 l’ayatollah Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica dell’Iran, aveva emesso contro di lui una fatwa, una sentenza religiosa, condannandolo a morte per aver pubblicato l’anno precedente il libro I versi satanici, considerato blasfemo. Afp


Teheran si trova comunque in una situazione scomoda. Non può condannare apertamente l’attacco, perché metterebbe in discussione la parola della sua autorità suprema in materia religiosa. Ma non può neanche rallegrarsene ufficialmente, perché offuscherebbe ancora di più l’immagine del regime, che negli ultimi anni ha cercato di mettere in risalto quello che lo differenzia dai gruppi jihadisti sunniti, responsabili di attentati in tutto il mondo. Difendere l’autore dell’attacco potrebbe inoltre complicare la conclusione dei negoziati con la comunità internazionale sull’accordo nucleare, che sembrano finalmente essere sulla buona strada dopo mesi di stallo e giochi al rialzo.

Ma se Teheran può essere disposta a fare concessioni tattiche, non sembra avere nessuna intenzione di rimettere in discussione i suoi fondamenti ideologici, tra cui il viscerale antiamericanismo.

Mohammad Marandi, consigliere della squadra di negoziatori sul nucleare, il 13 agosto ha scritto su Twitter: “Non verserò lacrime per uno scrittore che denuncia i musulmani e l’islam. Rushdie è una pedina dell’impero, che si presenta come romanziere postcoloniale”. Alcuni mezzi d’informazione vicini al regime si sono congratulati con l’autore dell’attacco.

Fathollah-Nejad ricorda un altro tentato omicidio, avvenuto a New York nel 2021 contro l’attivista per i diritti delle donne Masih Alinejad, nata in Iran. Secondo lo studioso, serve “una seria reazione dell’occidente, per far capire a Teheran che il proseguimento della campagna sempre più vasta contro i dissidenti nel mondo avrà conseguenze pesanti”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1474 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati