Qualche giorno fa, a Roma, ho avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Paul B. Preciado, filosofo, scrittore e regista spagnolo che si occupa di teoria queer, biopolitica e studi di genere. “In questo momento non è un po’ un lusso borghese occuparsi di diritti di genere o di ecologia e antispecismo?”, gli ho chiesto a un certo punto, alludendo al conflitto in corso tra Israele e Hamas. “No”, mi ha risposto subito lui, “perché la matrice del problema è la stessa: la nostra incapacità di capire che i confini sono convenzioni sciocche. Distruggere il mondo sulla base di una convenzione è la prova di quanto siamo arretrati”. Credo che Preciado tocchi un punto importante: la metafisica che sostiene l’inferno è sempre la stessa, ma le sue forme, diciamo l’estetica, cambiano il modo in cui ci rapportiamo a lei. È vero che è un lusso occuparsi di _queer studies _o di animali mentre una buona parte di mondo non riesce a capire che uccidere civili inermi è un limite invalicabile. Ed è vero che il nostro paese prevede reati che potremmo definire metaforici in confronto all’Iran, dove la polizia morale può uccidere una ragazza per come porta il velo. Ma è difendendo questo lusso borghese e i suoi paradossi, per esempio trovarsi a discutere del nulla, che possiamo ritenere un fondamento inalienabile la necessità della pace contro la guerra. La guerra arriva perché smettiamo di credere negli alberi e negli animali. La pace viene dopo questa credenza. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1537 di Internazionale, a pagina 112. Compra questo numero | Abbonati