Quando pensate a Venere, il secondo pianeta più vicino al Sole, con le sue nuvole di acido solforico e la superficie così bollente da sciogliere il piombo, di che colore l’immaginate?

Finora pensavo che fosse di color caramello, con sfumature dorate, gialle e marroni, colori caldi che rispecchiano la sua fama di pianeta torrido e costellato di vulcani. Poi ho visto la foto condivisa di recente dall’astronomo James O’Donoghue. Il pianeta non era come l’immaginavo, ma bianco e anonimo. Un’enorme perla spaziale. “È così per chi lo guarda dallo spazio”, ha scritto.

Ci sono rimasta male e ho subito chiamato una delle mie fonti più autorevoli su Venere, chiedendo: “Perché non me l’hai detto?”. All’improvviso mi sono ritrovata a fare mille domande sul sistema solare, scoprendo che quasi niente è come pensiamo.

L’immagine più nota di Venere (in alto a sinistra), che mostra un pianeta ocra quasi liquefatto, non è in realtà una foto, almeno non nel senso classico del termine, perché è stata ricavata tramite onde radio. All’inizio degli anni novanta la sonda spaziale Magellano della Nasa, dotata di tecnologie radar, raggiunse l’orbita di Venere e acquisì un gran numero di dati che permise di realizzare la prima mappatura radar della superficie. Il nostro occhio non vede le onde radio, quindi gli astronomi le hanno tradotte in colori che percepiamo. O’Donoghue pensa che abbiano scelto quelle tonalità “perché si addicono al paesaggio aspro e bruciato di Venere”.

Montagne e crateri

L’immagine della sonda Magellano rappresentava un notevole passo avanti rispetto a quelle acquisite negli anni settanta, che mostravano nuvole bianche e poco altro (in alto a destra). All’improvviso si distinguevano le montagne e i crateri, e gli studiosi di Venere ne hanno apprezzato il colore anche se era immaginario.

Purtroppo per noi, Venere dà il meglio di sé in lunghezze d’onda che i nostri occhi non riescono a elaborare. Dato che le nuvole di acido solforico sono molto luminose e riflettenti, “dallo spazio il pianeta risulta piuttosto scialbo nello spettro visibile”, spiega Paul Byrne, planetologo della Washington university, negli Stati Uniti.

Com’è successo per Venere, neanche i colori delle immagini degli altri pianeti e oggetti celesti che troviamo nei libri di testo o sui siti della Nasa sono naturali, ma ricostruiti usando lunghezze d’onda diverse a partire dai dati grezzi. Oppure i colori visibili a occhio nudo sono ritoccati per esaltare le caratteristiche degli astri, che siano montagne o tempeste.

Nella maggior parte delle immagini la grande macchia rossa di Giove (un’enorme tempesta) sembra una pizza marinara, ma in realtà ha un colore rosa spento. Visti dallo spazio Marte non è rosso ma marrone, Saturno non è giallo intenso ma di un giallino tenue adatto alle pareti di un soggiorno, Urano è più grigio che color foglia di tè, Nettuno non è blu ma azzurro e il ghiacciaio a forma di cuore di Plutone è quasi invisibile. E il Sole? “Il Sole, che consideriamo giallo o arancione, è bianco”, dice O’Donoghue.

Se dallo spazio Venere sembra un’enorme pallina da ping-pong, di che colore è sotto le nuvole? “Sappiamo che la superficie è composta da rocce simili al basalto terrestre, che è grigio scuro”, spiega Byrne, “ma le reazioni chimiche con l’atmosfera potrebbero renderla rossastra”. Prima di soccombere all’ambiente inospitale, le missioni sovietiche che negli anni settanta e ottanta sono atterrate su Venere hanno acquisito foto a colori che rivelano un paesaggio giallognolo. Ma il colore reale è difficile da stabilire perché l’atmosfera del pianeta filtra la luce blu.

Gli astronomi ne sapranno di più dopo il 2030, quando una missione della Nasa attraverserà l’atmosfera di Venere, dirigendosi verso la superficie. Scatterà foto in lunghezze d’onda vicine agli infrarossi, che poi gli astronomi tradurranno in colori sgargianti per stupire il pubblico. Saranno sicuramente straordinarie, ma ora che ho superato lo shock comincio ad apprezzare il fascino della vera Venere, la perla del sistema solare. ◆ sdf

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati