Dalle nuove dinamiche regionali al desiderio di mettere fine alla crisi dei rifugiati, sono molti i fattori che hanno contribuito al ritorno della Siria e del presidente Bashar al Assad all’ovile arabo. Ma al centro della questione c’è anche una sostanza stupefacente. La Siria è il maggior produttore al mondo di captagon, un’anfetamina venduta illegalmente in tutta la regione.

Captagon era il nome commerciale di un farmaco psicoattivo prodotto negli anni sessanta in Germania, poi vietato ovunque. Oggi alimenta la vita notturna in Medio Oriente e da anni rappresenta una linfa finanziaria vitale per Assad, rimasto isolato dopo che le proteste del 2011 in Siria sono degenerate nella guerra civile. Assad nega che il governo guadagni dalla droga, ma per gli esperti il presidente ha trasformato la Siria in un narco-stato, con un business da miliardi di dollari all’anno che si ritiene abbia un valore superiore a quello delle operazioni gestite dai cartelli messicani.

Non stupisce che Assad non abbia affrontato pubblicamente il traffico di captagon quando il 19 maggio ha ricevuto una calorosa accoglienza a Jedda, in Arabia Saudita, al 32° vertice della Lega araba, poco dopo la riammissione del suo paese, sospeso dodici anni fa.

La Siria ha accettato di controllare il traffico di droga attraverso i suoi confini con la Giordania e l’Iraq dopo un incontro dei ministri degli esteri dei paesi arabi che si è svolto all’inizio di maggio per discutere la ripresa dei rapporti con Damasco. Alcuni giorni dopo un raid aereo in Siria ha ucciso il presunto boss siriano della droga Marai al Ramthan. La Giordania è ritenuta responsabile dell’attacco, anche se non l’ha confermato ufficialmente.

Secondo Caroline Rose, esperta di captagon e direttrice del New Lines institute, negli Stati Uniti, il traffico della sostanza è diventato una priorità nel processo di normalizzazione con la Siria: “Il regime siriano ha già condotto dei sequestri di facciata. Vuole far credere ai governi arabi di poter fermare il captagon, se convinto e incentivato a farlo, soprattutto con l’alleggerimento delle sanzioni e i pacchetti economici”. Rose prevede un aumento dei sequestri e una maggiore presenza del tema sui mezzi d’informazione siriani controllati dallo stato per attirare l’attenzione sullo sforzo di Damasco. “Alcuni trafficanti non strettamente allineati al regime saranno sacrificati”, afferma, aggiungendo che non saranno toccati i finanziatori considerati centrali in questo commercio, come Wasim Badi Assad, cugino del presidente sanzionato ad aprile da Stati Uniti e Unione europea.

Ancora pericoloso

Dalla fine di aprile Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Iraq hanno annunciato numerosi sequestri di decine di milioni di pillole prodotte in Siria, per un valore stimato superiore al miliardo di dollari. Però non hanno incolpato pubblicamente il governo di Assad, perché era in corso il processo di normalizzazione.

Secondo Joshua Landis, direttore del Center for Middle East studies dell’università dell’Oklahoma, negli Stati Uniti, anche se molti ritenevano che la guerra, le sanzioni, la divisione del paese e l’accesso negato al gas e al petrolio siriani avessero reso Assad inoffensivo, il traffico di captagon dimostra che il presidente siriano non va ignorato e può provocare danni.

Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno dichiarato che rifiuteranno di riprendere le relazioni con la Siria in assenza di un regolare processo elettorale. Nella regione il Qatar e altri paesi arabi restano contrari al reintegro della Siria senza condizioni, ma hanno scelto di non impedirlo. Lina Khatib, direttrice del Middle East institute alla School of Oriental and African studies di Londra, la considera una vittoria per Assad: “Gli stati arabi hanno altre priorità nazionali e regionali a cui destinare risorse, dalla crescita economica alla stabilità dei paesi più vicini”. Khatib ritiene improbabile che il presidente siriano rinuncerà al captagon: “Il meglio che i paesi arabi possono sperare è che gli elementi del regime coinvolti nel traffico di droga decidano di dirottarne una parte su altri mercati, così da ridurre il flusso della sostanza nella regione”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati