I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Michael Braun del quotidiano berlinese Die Tageszeitung.

Vedere i potenti di una volta nella polvere: è questa la fine che hanno fatto le statue di Saddam Hussein a Baghdad nel 2003, di Stalin a Budapest nel 1956, ma anche di re Luigi XIV nella Francia rivoluzionaria del 1792. Oggi però siamo di fronte a un fenomeno nuovo. Sia in Europa sia negli Stati Uniti assistiamo, senza guerre, cambi di regime o rivoluzioni, a movimenti che vogliono buttare giù i monumenti di personaggi come Cecil Rhodes, Theodore Roosevelt, Robert Edward Lee, comandante in capo delle truppe sudiste nella guerra di secessione, o anche Cristoforo Colombo. Sono movimenti che non vogliono accettare più il fatto che razzisti e colonizzatori siano presentati come eroi, come modelli che dal loro piedistallo dominano le piazze e obbligano i passanti ad alzare gli occhi verso di loro. Sono quasi sempre maschi, quasi sempre bianchi. La storica dell’arte Lisa Parola propone una riflessione pacata. Spiega il significato del monumento, la nuova tendenza di creare monumenti che interrogano chi li guarda invece di spingere alla venerazione di eroi veri o falsi. Che fare con quelle statue che oggi sono, spesso giustamente, contestate: abbatterle? Spostarle nei musei? Contestualizzarle? Parola non pretende di avere la risposta pronta. Per questo è convincente.

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Questo articolo è uscito sul numero 1463 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati