È stato scritto molto su come gli stili di vita moderni ci impediscano di dormire abbastanza, come invece facevano i nostri antenati. Ma secondo un’analisi di 54 studi realizzati in tutto il mondo, chi vive in piccole comunità preindustriali in realtà dorme meno degli abitanti dei paesi industrializzati.
Spesso si presuppone che la diffusione di dispositivi come le tv a grande schermo e gli smartphone spinga la gente a dormire meno rispetto al passato recente. Ma molti degli studi che hanno evidenziato una riduzione del sonno negli ultimi decenni si sono limitati a chiedere alle persone quanto dormono, che è un metodo inaffidabile. Anche usando questo sistema, i risultati non sono coerenti, e secondo diverse ricerche la durata del sonno non è cambiata o è addirittura aumentata. Studi basati su metodi più affidabili, come il monitoraggio dell’attività fisica e delle onde cerebrali, non hanno individuato un calo negli ultimi decenni. Per esempio, nel 2016 una revisione di 168 studi aveva riscontrato che nei cinquant’anni precedenti la durata media del sonno non era diminuita.
Ma queste ricerche sono state realizzate nei paesi industrializzati, e non permettono di stabilire se le persone dormivano molto di più prima dello sviluppo industriale. Con la diffusione dei braccialetti per il monitoraggio dell’attività è diventato più facile studiare il sonno nelle società preindustriali. Queste ricerche hanno rilevato durate del sonno sorprendentemente brevi. Per esempio, tra i cacciatori-raccoglitori i san dormono in media 6,7 ore a notte, gli hadza 6,2 ore e i bayaka 5,9. Il sonno più breve rilevato finora è quello dei pastori nomadi himba della Namibia, che dormono 5,5 ore per notte.
Leela McKinnon e David Samson, dell’università di Toronto Mississauga, in Canada, hanno partecipato a molti di questi studi. Ora hanno confrontato le abitudini relative al sonno nelle società industrializzate, come gli Stati Uniti, l’Australia e lo Sri Lanka, e nelle comunità più piccole e meno avanzate, come i popoli indigeni dell’Amazzonia, del Madagascar e dell’isola di Tanna, nel Pacifico. L’analisi, pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, si basa su 54 studi che prevedevano la misurazione diretta del sonno in persone maggiori di 18 anni senza gravi problemi di salute.
Questi lavori hanno riguardato in totale solo 866 persone, ma è comunque l’insieme di dati più completo disponibile, dice Samson.
Nel complesso è emersa una media di 6,8 ore di sonno per notte, ma nelle società preindustriali il dato scende a 6,4 ore, rispetto alle 7,1 di quelle industrializzate. McKinnon e Samson hanno osservato che nelle società preindustriali le persone dormono per il 74 per cento del tempo trascorso a letto, rispetto all’88 per cento nei paesi sviluppati, un parametro noto come efficienza del sonno.
Sonni tranquilli
McKinnon e Samson hanno valutato anche la regolarità dei ritmi circadiani, usando il cosiddetto indice della funzione circadiana, in cui 1 è il punteggio più alto. Nelle società preindustriali la media era 0,7 e in quelle industrializzate 0,63.
Secondo Samson la maggiore durata del sonno e la migliore efficienza nelle società industriali è dovuta a condizioni più favorevoli al riposo. “I posti dove dormiamo sono molto più sicuri”, dice. “Di notte non dobbiamo più preoccuparci dei predatori o di gruppi umani rivali”.
D’altro canto, però, nei paesi industrializzati le persone sono meno esposte agli stimoli che aiutano a mantenere i ritmi circadiani, come il calo della temperatura durante la notte e l’esposizione a una luce intensa durante il giorno. McKinnon e Samson sospettano che un ritmo circadiano meno regolare abbia effetti negativi, il che potrebbe spiegare perché molte persone siano convinte di dormire male.
Quello che non è chiaro è quanto i soggetti dei 54 studi siano rappresentativi delle loro società, dice Nathaniel Marshall dell’università Macquarie di Sydney, in Australia. Samson sostiene di essersi posto il problema e di aver concluso che un campione più ampio non avrebbe fatto una grossa differenza. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati