È cominciato tutto con il passaparola. All’inizio del 2022 Bridget Motari, 22 anni, si annoiava in una scuola alberghiera di Eldoret, nel Kenya occidentale. La ragazza aveva grandi sogni, e soprattutto cercava uno stipendio più generoso di quelli che il suo paese può offrire. Una conoscente le aveva detto che cercavano persone per un servizio di assistenza clienti in Thailandia e la paga era di circa 900 euro al mese. Motari aveva colto l’occasione al volo, anche se l’agenzia interinale non le ispirava molta fiducia. “È stata la peggiore decisione della mia vita”, sospira la ragazza, che incontriamo un giorno di maggio a Nairobi.
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All’arrivo a Bangkok, nel luglio 2022, non aveva trovato né un lavoro né uno stipendio. Finita nelle maglie della mafia cinese, aveva visto il suo destino cambiare radicalmente. Il suo calvario è durato quattro mesi, nel corso dei quali è stata trasferita con la forza a Van Pak Len, in Laos, nella provincia di Bokeo, nella zona economica speciale del Triangolo d’oro, una regione compresa tra Birmania, Laos e Thailandia. Qui è stata sequestrata e sfruttata in uno dei più grandi centri di truffe online che abbondano in questo punto nevralgico della criminalità informatica mondiale. Molti cittadini africani si ritrovano prigionieri in queste città del sudest asiatico specializzate nelle frodi informatiche.
Terra di nessuno
Secondo le stime dello United States institute of peace, un centro studi statunitense, i prigionieri dei cartelli cinesi che dominano il settore sarebbero 305mila, per lo più asiatici. Un tempo crocevia del traffico di oppio, durante la pandemia questa regione si è trasformata in un centro dell’estorsione online. Gruppi criminali legati alle triadi cinesi si sono insediati in questa zona resa praticamente inaccessibile dalla guerra civile in Birmania e dalla complicità delle élite locali. Tra i boss coinvolti c’è Wan Kuok-koi, capo storico della Triade 14 di Macao, noto anche con il soprannome di “Dente rotto”. Un altro grande nome delle truffe online è l’uomo d’affari cambogiano Ly Yong Phat, che è stato consigliere economico speciale dell’ex primo ministro Hun Sen, e da settembre è sottoposto alle sanzioni statunitensi per “violazione dei diritti umani legati al trattamento di persone costrette ai lavori forzati in operazioni illegali legate agli investimenti online”.
Questa industria fiorente ha un nome: pig butchering (macellazione del maiale), che consiste nell’“ingrassare” delle vittime online (cioè conquistare la loro fiducia) prima di sottrargli denaro attraverso dei siti di criptovalute. Secondo uno studio dell’università del Texas pubblicato a marzo del 2024, dal 2020 l’attività avrebbe fruttato circa 75 miliardi di dollari (cioè 69 miliardi di euro).
Sedurre uomini online per poi truffarli: questo è il compito assegnato a Bridget Motari. La donna ha accettato di raccontare la sua esperienza usando il suo nome, al contrario di altri che preferiscono testimoniare in modo anonimo, terrorizzati dall’idea di essere identificati e diventare oggetto di possibili rappresaglie. Al suo arrivo a Bangkok, Motari pensava di andare a lavorare in un’azienda di commercio online. “Mi ha prelevato un uomo con un van, il giorno dopo ha guidato per molte ore e abbiamo attraversato un fiume in barca. Io non sospettavo nulla e pensavo di essere ancora in Thailandia”, racconta. In realtà era entrata in Laos, dove degli sconosciuti l’hanno portata in uno delle migliaia di centri destinati alle truffe online. All’interno c’erano degli open space con le postazioni e i dormitori per i lavoratori.
Pagare il debito
Nel caso della Birmania e della Cambogia, si può parlare di campi di lavoro e di prigionieri, poiché alle persone impiegate sequestrano il telefono e il passaporto. È impossibile uscire da questi compound, circondati da alti muri di cinta sovrastati da filo spinato e sorvegliati da guardie. A Tai Chang, nel sud della Birmania, ce n’è uno soprannominato “l’inferno in Terra” da chi ci ha lavorato.
L’unico modo per uscire da questi posti è raggiungere gli obiettivi stabiliti dai criminali per pagare il proprio “debito” o, come hanno fatto alcuni, raccogliere abbastanza denaro per pagare un riscatto. “Ero terrorizzata, mi dicevano che se volevo tornare a casa, dovevo ripagare la somma che avevano investito su di me per portarmi qui. E l’unico modo per uscirne era collaborare”, dice Motari, che dopo un mese, per scarsa produttività, è stata venduta a un’altra organizzazione mafiosa in Laos.
◆ All’inizio di febbraio del 2025 le autorità tailandesi hanno tagliato l’elettricità e la connessione a internet a tre aree oltre il confine con la Birmania note per ospitare centri di truffe online: Myawaddy, Payathonzu e Tachileik. Il dipartimento investigativo speciale tailandese, inoltre, ha chiesto l’arresto di tre leader della Forze di frontiera Karen, una milizia locale che controlla la zona di Myawaddy, perché sarebbero legati ai gruppi criminali che gestiscono le truffe online. Pochi giorni dopo la guardia di frontiera tailandese ha liberato settemila persone di venti nazionalità diverse da vari centri in Birmania dov’erano costrette a contattare potenziali vittime online e a truffarle. Le operazioni sono scattate in seguito alle pressioni di Pechino, dato che la gran parte delle persone prigioniere nei centri delle truffe sono cinesi. A gennaio in Cina aveva fatto scalpore il caso di un attore, Wang Xing, attirato in Thailandia con la prospettiva di un casting, rapito e rinchiuso in un centro delle truffe in Birmania. La fidanzata ha denunciato la sua scomparsa sui social media attirando l’attenzione delle autorità. Dopo un mese Wang è stato rilasciato. Le autorità di Bangkok, temendo una ricaduta negativa sugli arrivi di turisti cinesi e messa sotto pressione da Pechino, hanno preso provvedimenti. Ora però le migliaia di persone liberate sono in un limbo, ospitate in campi in condizioni igienico-sanitarie precarie in attesa di essere trasferite in Thailandia ed eventualmente rimandate a casa. Le operazioni di rimpatrio rischiano di essere lunghe e complicate: molti paesi non intendono pagare le spese di viaggio, e Bangkok teme di doversi occupare di migliaia di persone bloccate dentro i suoi confini. The Guardian, Irrawaddy, Bbc
È così che le vittime si trasformano in truffatori. “Avevo almeno cinque obiettivi al giorno”, rivela la ragazza, che si è trovata costretta a lavorare più di quindici ore al giorno, spesso di notte per adattarsi ai fusi orari statunitensi. Motari descrive la sua vita quotidiana: “Ti danno un computer e quattro telefoni, ti crei dei falsi profili su Instagram, Telegram, Tinder o Facebook. Ti dicono di trovare delle foto di donne, spesso russe, sulla trentina, piuttosto belle, per lo più scattate nelle loro case, a bordo piscina, in cucina e così via. E a partire da queste foto t’inventi una storia, una falsa carriera, un’infanzia fittizia e un finto divorzio”.
Gli ingegneri informatici cinesi hanno sviluppato dei software d’intelligenza artificiale per ingannare meglio le vittime, di solito uomini occidentali, preferibilmente statunitensi. “Lo scopo è farli innamorare”, sintetizza Motari. Una volta che le persone hanno abboccato, gli viene proposto un investimento in criptovalute. A quel punto intervengono gli informatici cinesi, che sottraggono il denaro dirottando i bonifici delle vittime. Nel 2023 queste frodi sono costate, secondo le stime dell’Fbi, quattro miliardi di dollari a decine di migliaia di statunitensi.
Chi non raggiunge gli obiettivi stabiliti dall’organizzazione è a rischio. “È come in prigione”, confida una keniana di 42 anni che ha passato sei mesi in un campo in Laos. I lavoratori sono terrorizzati perché se non sono abbastanza produttivi, vengono picchiati”. Qui si commettono sevizie di ogni tipo. “All’inizio mi sono rifiutato di lavorare, ma mi hanno appeso a un cancello e mi hanno picchiato”, dice tra le lacrime un marocchino intrappolato in Birmania. Una ragazza dello Zambia ha assistito a scene di tortura, ha visto un tanzaniano seduto su una “sedia elettrica”. Talvolta i prigionieri di origine asiatica sono costretti a prostituirsi. Alcuni lavoratori hanno addirittura subito l’asportazione di organi, racconta l’ong Blue Dragon.
Forse è successo anche a Grace Mata, una keniana di 22 anni morta in circostanze misteriose nel 2022 nel “KK Park”, il più grande centro di criminalità informatica della Birmania. La ragazza ha subìto un intervento chirurgico in una clinica improvvisata all’interno del centro, dove sono rinchiuse diverse migliaia di persone. Global Alms, un’organizzazione australiana di sostegno alle vittime, ritiene che l’obiettivo dell’intervento chirurgico fosse toglierle un rene. La salma è stata rimpatriata dall’ambasciata del Kenya in Thailandia. “Solo sei paesi africani hanno una sede diplomatica nel paese, quindi aiutiamo anche i cittadini di altri paesi del continente”, racconta l’ambasciatore keniano Kiptiness Lindsay Kimwole. I suoi funzionari hanno aiutato a rimpatriare ugandesi, etiopi, zimbabweani, marocchini e burundesi.
Fino al 2022 la selezione dei giovani africani si faceva attraverso delle false agenzie di reclutamento. In Kenya il principale trafficante è stato identificato nel 2023 e la sua organizzazione smantellata. Wycliffe Onguti Magara, che aveva reclutato Bridget Motari e centinaia di altre persone a Nairobi, si nasconde oggi negli Emirati Arabi Uniti ed è ricercato dall’Interpol. Tuttavia “i reclutamenti continuano e in Birmania gli africani arrivano ancora a centinaia”, racconta l’ambasciatore keniano. “Ora però tutto si svolge online, e i criminali usano i prigionieri per attirarne altri”.
Nel gennaio 2023 una cittadina dello Zambia di 27 anni lavorava in un istituto di microfinanza a Lusaka, quando su Facebook ha ricevuto da uno sconosciuto un’offerta per un posto di assistenza clienti a distanza. Un mese dopo è atterrata a Bangkok ed è stata condotta contro la sua volontà in Birmania. Al KK Park non le hanno chiesto di sedurre uomini online ma di trovare nuove reclute. “Per ogni persona reclutata ricevi mille dollari. E per ottenere la mia libertà ho dovuto reclutare altre persone”, ci spiega la ragazza tra le lacrime. Le hanno promesso di rilasciarla se fosse riuscita a mettere da parte diecimila dollari. “Si cercano persone online, si selezionano i profili più interessanti sui social media, poi li si contatta. La priorità viene data agli asiatici e agli africani (anglofoni). Il secondo mese ho reclutato un ghaneano e uno zimbabweano. Una volta sul posto il ghaneano, arrabbiatissimo, mi ha detto: ‘Come hai potuto farmi una cosa del genere?’. Io gli ho risposto: ‘Se vuoi tornare libero non hai scelta, devi fare come me’”.
Situazione inedita
Di fatto questo nuovo metodo di reclutamento rende più difficile la caccia ai finti annunci. “È una situazione inedita”, osserva Mercy Otieno, incaricata della protezione all’ong Haart. Con sede in Kenya, questa organizzazione lotta contro il traffico di esseri umani e si occupa per lo più dei molti casi di donne che lavorano come domestiche nei paesi del golfo Persico. “Ma, al contrario di quello che succede lì, qui tutte le vittime sono laureate. Il numero di uomini e donne è grosso modo lo stesso e il punto in comune è che hanno già un lavoro. Di solito accettano le offerte perché vogliono uno stipendio più alto”, spiega la donna.
Ma se in Africa sorprende il fatto che queste nuove vittime del traffico di esseri umani hanno un livello d’istruzione elevato, nel sudest asiatico ormai è una realtà acquisita. “Ogni volta che vediamo arrivare degli africani all’aeroporto di Bangkok, sappiamo dove vanno”, ha confidato un agente dell’immigrazione in Thailandia alla giovane abitante dello Zambia ingannata in Birmania. Dopo essere fuggita dal campo dov’era rinchiusa e dove aveva ricevuto soccorso dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel giugno 2023 la ragazza è potuta tornare nel suo paese. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati