Ilasio Renzoni, imprenditore di Porto Sant’Elpidio, ha appena ricevuto un messaggio vocale. “È un cliente ceceno, di Grozny, che non riesce a fare un bonifico bancario”, racconta. Come molti altri imprenditori in questa cittadina situata sulla costa del mare Adriatico, nelle Marche, dove storicamente si realizza una parte importante delle calzature italiane, Renzoni ha un’azienda che produce stivaletti e scarpe da donna di alta qualità. Dall’entrata in vigore delle sanzioni contro la Russia, però, il suo lavoro si è molto complicato, perché com’è noto la regione dipende dal mercato dell’est. Nel 2021 l’Italia ha venduto quattro milioni di paia di scarpe in Russia e in Ucraina, per un volume d’affari di 385 milioni di euro. Le Marche coprono da sole un terzo di questa produzione.

“Il covid-19 ci ha costretto ad adattarci, sviluppando il settore delle vendite online, ma con questa guerra la merce resta in magazzino perché non possiamo spedirla”, si lamenta Renzoni. Il suo magazzino, che all’inizio di maggio di solito è vuoto, è pieno di scatoloni impilati l’uno sull’altro. Sulle etichette si leggono indirizzi russi e ucraini: “La collezione autunno-inverno di quest’anno”. Sono per la maggior parte stivaletti o scarpe alte in cuoio, calzature imbottite adatte ai rigidi inverni russi. I suoi clienti abituali comprano tra i cinque e i diecimila euro di scarpe. Le sei aziende che lavorano per il marchio Ilasio Renzoni, tutte nella zona industriale di Porto Sant’Elpidio, in questo momento sono ferme.

Il destino delle Marche, che vantano una lunga tradizione nel settore, con artigiani locali che fornivano pantofole di cuoio agli stati pontifici o al regno di Napoli, è legato alle scarpe di qualità. Diego Della Valle, presidente del gruppo della moda italiana Tod’s, è nato qui.

La qualità ottima delle scarpe di lusso prodotte in questa regione è riconosciuta in tutto il mondo. Il punto di forza è la presenza dell’intera filiera dentro i suoi confini: dalla formazione al design, passando per la tintura del cuoio, fino alla produzione delle suole e dei tacchi. “Se mi disegna un nuovo modello di calzatura, può averla pronta in due giorni”, riassume con orgoglio un imprenditore marchigiano.

Al salone internazionale della calzatura di lusso, che si è tenuto a Mosca alla fine di aprile, erano presenti trentuno aziende delle Marche su una delegazione italiana che contava in tutto quarantotto espositori. La camera di commercio regionale ha pagato gli stand. Per diversi imprenditori locali era impensabile annullare questa trasferta, anche se hanno dovuto raggiungere la capitale russa passando dalla Serbia o dalla Turchia.

Il viaggio a Mosca ha suscitato critiche in Italia, anche se le sanzioni commerciali imposte dall’Unione europea contro la Russia riguardano i prodotti con un prezzo che supera i trecento euro. Se si tiene conto del prezzo di fabbrica molte delle calzature realizzate in Italia restano sotto quella soglia.

Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici, l’associazione italiana che riunisce i produttori di scarpe, in un comunicato in cui ogni parola è stata pesata ha spiegato di “rispettare le sanzioni imposte dalla comunità internazionale nei confronti di chi ha scatenato il conflitto”, sottolineando però di non aver potuto fare altro che sostenere le aziende che dovevano onorare contratti firmati prima dell’inizio della guerra. “Se il conflitto dovesse prolungarsi, provocherebbe danni economici ancora più rilevanti e drammatici a tutto il settore”, ha commentato Badon con preoccupazione.

Il trucco con la Cina

Alla trasferta nella capitale russa ha partecipato anche Marino Fabiani, che ha creato il suo marchio nel 1979. Dietro la scrivania sono esposte scarpe eleganti con il tacco alto e trofei di “maestro artigiano della calzatura su misura” vinti in occasione di saloni internazionali. In una grande foto compare sorridente a Mosca, nel 2002, accanto all’ambasciatore italiano dell’epoca. “Oggi non ho più lavoro”, sospira Fabiani, che esporta l’80 per cento dei suoi prodotti verso i mercati russo e ucraino.

“Il governo ci ha abbandonati, dovrebbe agire come un padre fa con i suoi figli, proteggendoli”, si lamenta Fabiani. Al di là delle perdite per queste aziende, la grande paura è che i russi rinuncino al made in Italy e si rivolgano ai mercati turco o cinese. “A Mosca ho avvertito la sensazione che stiamo per perdere un mercato. Anche se siamo andati lì per assicurarci di continuare ad averli come clienti”, racconta l’imprenditore. Alcuni dei suoi clienti russi gli hanno proposto di creare una società in Cina dove accreditare le somme di denaro per gli ordini ricevuti e ottenere poi una carta di credito cinese in Italia con cui poter ritirare gli importi. Una triangolazione complessa che però non ha convinto l’imprenditore. La guerra in Ucraina è solo un altro capitolo nella tormentata storia economica delle Marche negli ultimi quindici anni: crisi finanziaria nel 2008, fallimento della Banca Marche nel 2015, terremoto nel 2016 e poi la pandemia di covid-19.

Sulle alture di Montegranaro, altro tempio della calzatura, Paolo Silenzi, presidente della confederazione degli artigiani delle Marche, ci accoglie nella sua sala espositiva in cui risplendono mocassini e sneakers di cuoio. “Dopo l’annessione della Crimea nel 2014 la situazione economica ha cominciato a essere difficile”, racconta. “All’epoca le esportazioni verso la Russia valevano intorno ai 950 milioni di euro all’anno. Oggi arrivano appena a 258 milioni”.

Per molto tempo le dimensioni ridotte delle aziende marchigiane sono state un punto di forza rispetto alla standardizzazione di alcuni marchi, consentendo di mantenere un livello d’eccellenza nel confezionamento degli articoli e una vera “tracciabilità del prodotto”. “Abbiamo creato una storia attorno alle nostre scarpe, è questo che le rende diverse”, prosegue con orgoglio Silenzi. Ma oggi questa competenza è in pericolo.

Il presidente della confederazione degli artigiani delle Marche si lamenta che dopo l’invasione russa dell’Ucraina gli incentivi governativi al settore sono stati limitati: per la regione sono stati sbloccati quindici milioni di euro per aiutare le aziende locali a compensare le perdite e per sostenerle nella ricerca di altri mercati. “Quindici milioni non è niente”, dice Silenzi, “siamo gli unici imprenditori a pagare il prezzo di questa guerra”.

Il 9 maggio il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti è andato nelle Marche per incontrare gli imprenditori. Ha ribadito il suo impegno verso il made in Italy e ha promesso una maggiore flessibilità per le aziende locali. Gino Sabatini, presidente della camera di commercio delle Marche, ha chiesto una riduzione del costo del lavoro del 30 per cento nel distretto in cui si fabbricano le scarpe. Un provvedimento che consentirebbe di far rimanere alcune aziende, di attrarne altre e di proteggere il livello d’eccellenza che gli artigiani cercano di mantenere, a prescindere dalla presenza o meno di clienti russi. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1463 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati