Durante la campagna elettorale Giorgia Meloni, leader del partito di estrema destra Fratelli d’Italia, aveva rilanciato l’idea di un blocco navale per fermare le imbarcazioni che soccorrono i migranti. Una soluzione impossibile da mettere in pratica, ma efficace dal punto di vista della comunicazione politica.

Ora il governo Meloni ha mantenuto la promessa di contrstare i flussi migratori, con un provvedimento che somiglia a una dichiarazione di guerra nei confronti delle ong impegnate nel soccorso in
mare.

Il 3 gennaio di quest’anno è entrato in vigore un decreto legge che prevede un nuovo codice di condotta per le navi umanitarie. Tra le novità c’è il divieto dei soccorsi plurimi. Appena le autorità italiane assegnano un porto di sbarco a una nave, la destinazione dev’essere raggiunta immediatamente per completare l’operazione di salvataggio. È impossibile, tranne nei casi di una richiesta specifica delle autorità italiane, che dopo aver soccorso dei naufraghi una nave cambi rotta verso un’altra imbarcazione alla deriva.

In altre parole, le nuove regole stabilite dal ministero dell’interno ufficializzano una svolta politica che è una chiara minaccia al diritto del mare e alle convenzioni internazionali, firmate anche dall’Italia.

Queste regole così dure preoccupano le ong. “Invece di darci un ruolo chiaro per salvare delle vite in mare, questo decreto cerca di limitare il nostro campo d’azione senza proporre una soluzione alternativa”, afferma Juan Matías Gil, capomissione di Medici senza frontiere (Msf). “Ci sarà sicuramente una riduzione nelle nostre capacità operative di salvataggio e un numero maggiore di
morti”.

Espediente retorico

Inoltre, il governo impone alle ong di raccogliere le domande di asilo a bordo delle navi, in modo che la procedura amministrativa sia presa in carico dal paese a cui appartiene l’imbarcazione. Un provvedimento che causerà sicuramente numerosi problemi giuridici. Infatti, se si seguono le nuove norme, chi impedirà ai migranti somali di chiedere asilo a Roma se sono soccorsi da una nave mercantile italiana al largo di Mogadiscio?

Il timore di un arrivo in massa di profughi, un espediente retorico usato spesso dal governo e dalla maggioranza per giustificare le restrizioni, è stato di nuovo tirato fuori da alcuni politici, convinti che le navi umanitarie siano dei “taxi del mare”. Le statistiche, però, dimostrano il contrario: su circa cent0mila migranti sbarcati nel 2022 in Italia, poco più del 10 per cento è stato soccorso dalle ong.

In Sicilia, Sergio Scandura, che segue le questioni migratorie per Radio Radicale, afferma che “questo decreto è una novità assoluta, nessuno finora aveva adottato un testo che va contro le leggi internazionali ed europee. La realtà è che le ong disturbano perché non si deve vedere quello che succede al largo della Libia”, spiega il giornalista.

Anche la chiesa cattolica italiana ha reagito. “Questo decreto è costruito sul nulla, è basato su un segnale d’insicurezza che è fasullo”, ha detto monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della commissione per le migrazioni della conferenza episcopale italiana. “Una prima considerazione è se siano le ong il problema della sicurezza dell’Italia o se invece siano proprio le loro navi, che salvano le persone, a creare sicurezza”, si chiede Perego.

Donatori a rischio

Oltre alle nuove norme il governo italiano ha anche varato una serie di sanzioni per le navi umanitarie che non rispettano il decreto. Sono previste multe da dieci a cinquantamila euro per il comandante della nave. In caso di recidiva le autorità possono confiscare le imbarcazioni.

Contro queste decisioni si può fare ricorso ma, altra novità, dovrà essere presentato al prefetto, i cui poteri sono stati ampliati. “La minaccia di sanzioni finanziarie è preoccupante”, sottolinea Marco Pisoni, portavoce di Sos Mediterranée, che gestisce la nave Ocean Viking. “Le operazioni di soccorso sono costose e queste multe potrebbero metterci in difficoltà con i nostri donatori in Italia e in tutta Europa”.

Secondo le ong il messaggio del governo è chiaro: non solo vuole ostacolare i soccorsi, ma anche allontanare le navi dal Mediterraneo centrale, là dove c’è più bisogno.

Il 31 dicembre, prima della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, l’Ocean Viking ha potuto far sbarcare 113 persone nel porto di Ravenna, a novecento miglia dal luogo di salvataggio.

Secondo Pisoni, il governo italiano vuole “la scomparsa programmata della presenza delle navi nelle zone Sar internazionali e nazionali” (le zone search and rescue, istituite nel 1979, sono quelle in cui lo stato è tenuto a prestare soccorso). ◆adr

Da sapere
Il decreto in tre punti

◆ Le navi devono fare ciò che in parte già fanno e che è stabilito dalle norme internazionali sul diritto del mare: comunicare subito alle autorità ogni soccorso fatto, coordinarsi con loro nella richiesta di un porto di sbarco. E avere tutti gli equipaggiamenti e le autorizzazioni previste per il soccorso.
◆ Se una nave vuole compiere più operazioni di soccorso, deve completare quelle successive alla prima osservando gli obblighi di notifica e senza compromettere il raggiungimento del porto di sbarco nei tempi stabiliti.
◆ Per chi non rispetta queste norme è prevista una multa fino a cinquantamila euro (per comandante e armatore) e sanzioni che possono arrivare alla confisca della nave per due mesi. Contro la confisca si può fare “ricorso al prefetto entro sessanta giorni dalla notifica del verbale di contestazione”. Il prefetto deve rispondere entro venti giorni. L’Essenziale


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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati