All’inizio di aprile la Lituania è stata il primo paese dell’Unione europea ad annunciare che avrebbe interrotto del tutto e per sempre le importazioni di gas naturale dalla Russia. Con le sue infrastrutture, può permetterselo. Dal 2014 la nave Independence, una floating storage and regasification unit (fsru, un terminale galleggiante per la ricezione, lo stoccaggio provvisorio e la rigassificazione del gas naturale liquefatto), è ormeggiata nel porto lituano di Klaipėda, nel mar Baltico. Fsru è una sigla che potremmo sentire sempre più spesso in Europa: queste navi sono indispensabili per emanciparsi in poco tempo dal gas russo.

La politica della Lituania è stata lungimirante. Fino al 2014 il paese baltico poteva importare gas solo dalla Russia, che sfruttava la situazione dettando i prezzi. Vilnius sapeva che l’unico modo per emanciparsi dal giogo economico e politico di Mosca era diversificare le fonti di rifornimento. La Lituania era disposta a pagare per la sua autonomia: i costi d’affitto e di gestione dell’Independence, sovradimensionata per il paese, erano molto alti. Ma nel giro di poco tempo l’investimento si è rivelato vincente, perché la Russia è stata costretta ad abbassare il prezzo del gas. Da quel momento la Lituania ha usato sia il gas naturale liquefatto sia il combustibile proveniente dal gasdotto russo, considerando i maggiori costi come una sorta di premio assicurativo politico.

Grazie alla sua capacità annuale di quasi quattro miliardi di metri cubi, oggi l’Independence è più che sufficiente per coprire il consumo totale lituano, pari a 2,5 miliardi di metri cubi all’anno. Questo ha permesso a Vilnius di rinunciare al gas russo. Inoltre, all’inizio di maggio entrerà in funzione un gasdotto verso la Polonia, con il quale la regione baltica sarà collegata alla rete dell’Europa centrale.

Anche la Lettonia e l’Estonia ormai non comprano più gas dalla Russia. A differenza della Lituania, però, le loro motivazioni principali non sono politiche: si legano all’aumento del prezzo del combustibile e all’incertezza sulle modalità di pagamento da quando la Russia ha deciso di accettare solo rubli.

Con l’impianto sotterraneo di stoccaggio di Inčukalns, vicino a Riga, la Lettonia può contare su un’infrastruttura che le consente di tirare avanti in autonomia per un certo periodo e di comprare il gas solo quando è più conveniente. Secondo fonti lettoni ed estoni, grazie all’impianto di Inčukalns il fabbisogno del paese potrebbe essere coperto fino alla fine dell’estate.

Ma anche Riga e Tallinn stanno lavorando per rendersi al più presto indipendenti dal Cremlino. La rete regionale comprende anche la Finlandia, che dal 2020 è collegata agli stati baltici dal gas­dotto Baltic connector. Prima la Finlandia poteva ricevere il gas solo dalla Russia, attraverso un gasdotto dalla regione di San Pietroburgo.

Noleggio in comune

Per ora il terminale lituano non basta per l’intera rete balto-finlandese, ma secondo il ministro estone dell’economia e delle infrastrutture, Taavi Aas, ci sono buone probabilità che un impianto galleggiante con una capacità simile sia costruito in autunno a Paldiski, un porto industriale a ovest della capitale Tallinn. Un altro molo sarà costruito anche sulla costa meridionale finlandese, vicino a Inkoo. L’idea è di ormeggiare una fsru, che sarà noleggiata insieme da Estonia e Finlandia, dove il bisogno è in quel momento maggiore. In questo modo la regione balto-finlandese potrebbe rendersi indipendente dalla Russia e guadagnare tempo per progettare un’infrastruttura permanente. I terminali galleggianti, infatti, sono una soluzione relativamente co­stosa. Soprattutto ora che l’intera l’Europa ha improvvisamente bisogno di queste navi.

Aas non è in grado di dire di quanto aumenterebbe il prezzo del gas in Estonia con questa soluzione. Ma già ora il gas naturale liquefatto e quello proveniente dal gasdotto russo hanno un costo simile. E sicuramente prezzi bassi come quelli del gas russo nel 2020 appartengono al passato. Ora la cosa più importante è garantire la sicurezza dei rifornimenti. La Lituania ha deciso che nel 2024, quando scadrà il contratto d’affitto per l’Independence, comprerà la nave e continuerà a farla funzionare fino al 2050.

Ma ora che l’Unione europea sta cercando alternative all’energia russa è certo che servirà un altro terminal per la regione balto-finlandese. È stato appena completato un impianto ad Hamina, sulla costa meridionale della Finlandia, ma la sua capacità è circa un decimo di quella della nave di Klaipėda e di quella prevista per Paldiski.

Finora Bruxelles aveva specificato che i fondi dell’Unione europea sarebbero stati messi a disposizione solo per un terminale che coprisse i bisogni dell’intera regione baltica più la Finlandia. I quattro paesi dovevano decidere dove realizzarlo. L’Estonia, però, ha portato avanti i lavori del terminale di Paldiski anche se nel 2017 al progetto era stato negato il finanziamento europeo. Ora lo stadio avanzato dei lavori potrebbe essere un vantaggio. Dal sito di Paldiski, inoltre, passa il gasdotto che collega gli stati baltici e la Finlandia.

Anche la Lettonia ha un asso nella manica: il cantiere per il terminale di gas naturale liquefatto di Skulte, nella baia di Riga. L’infrastruttura non è lontana dall’impianto di Inčukalns, e questo rende il progetto tecnicamente più semplice ed economico, dato che per lo stoccaggio temporaneo non serve una cella frigorifera. Se la corsa al terminale regionale baltico sembrava chiusa a favore dell’impianto di Klaipėda, la volontà di emanciparsi completamente dal gas russo ha di colpo riaperto nuove prospettive anche per gli altri progetti. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati