Unione europea

Uno dei vertici più lunghi della storia dell’Unione europea si è concluso la mattina del 21 luglio con un successo. Per la prima volta dalla sua nascita, l’Unione si indebita per combattere un problema comune: le conseguenze della pandemia di covid-19.

Per quattro giorni i 27 capi di stato e di governo hanno negoziato fino a notte fonda. Le sessioni sono state interrotte, riprese in ritardo, interrotte di nuovo e riprese. Le trattative sono state dure, a volte i toni si sono accesi: nessuno ha fatto regali, ma tutti sono rimasti al loro posto.

In certi momenti sembrava di essere tornati all’apice della crisi dell’euro. Ma nonostante le dispute e gli scontri, un punto è rimasto fermo: i 27 volevano raggiungere un accordo. I capi di stato e di governo hanno capito che la pandemia rappresenta una sfida storica, proprio come la minaccia di un crollo dell’eurozona qualche anno fa. Se fossero tornati a casa senza aver trovato un compromesso, avrebbero dovuto convivere per sempre con le accuse di egoismo autodistruttivo. Perché il rischio sarebbe stato di non sopravvivere alla pandemia come comu­nità.

Ma è così che funziona l’Europa: senza negoziati drammatici non si va avanti. Il primo ministro olandese Mark Rutte ha lottato fino all’ultimo. I suoi obiettivi erano spendere il meno possibile e imporre controlli rigorosi sui fondi erogati. Ha vestito i panni del severo calvinista, incassando diverse critiche.

Da sapere
I punti fondamentali del piano per la ripresa

Unione europea

Come funzionerà il fondo per la **
**ripresa?

L’elemento centrale del piano, battezzato Next Generation Eu, prevede che la Commissione europea prenda in prestito 750 miliardi di euro sui mercati finanziari. Circa 390 miliardi saranno distribuiti in forma di sussidi, e il resto come prestiti, per aiutare la ripresa negli stati dell’Unione.

La parte più importante di questi sussidi, che vale 312,5 miliardi di euro, è il cosiddetto dispositivo per la ripresa e la resilienza, che è stato il principale oggetto della trattativa. Gli stati dovranno presentare dei piani nazionali per la ripresa e impegnarsi a realizzare delle riforme per ottenere la loro parte dei finanziamenti, che saranno erogati tra il 2021 e il 2023. I rimanenti 77,5 miliardi di euro di sussidi saranno usati per i normali programmi di bilancio dell’Unione.

In che modo sarà distribuito
il denaro?

Le regole su come suddividere il denaro tra i paesi e sui meccanismi di vigilanza per garantire che gli investimenti producano le riforme promesse sono state tra i punti più controversi del vertice, insieme alla dotazione complessiva dello stesso _ recovery fund_. Su insistenza di molti governi, il consiglio ha modificato i criteri proposti dalla Commissione per distribuire i fondi in proporzione al danno che i singoli paesi hanno subìto a causa della pandemia, invece che in base ai dati sulla crescita e sulla disoccupazione precedenti alla crisi.

Dopo una lunga battaglia tra Paesi Bassi e Italia, è stato anche istituito un meccanismo che permetterà a ogni governo di sollevare delle obiezioni se riterrà che un altro paese non stia realizzando le riforme promesse in cambio degli aiuti. Questo sistema, che era una delle principali richieste del primo ministro olandese Mark Rutte, permetterà a ogni governo di bloccare momentaneamente i trasferimenti finanziari di Bruxelles verso un paese, esigendo che i leader europei verifichino l’effettivo rispetto degli impegni. Ma questo processo di verifica avrà una durata limitata a tre mesi e l’ultima parola spetterà formalmente alla Commissione europea.

I leader si sono scontrati anche sul meccanismo che dovrebbe costringere gli stati a rispettare i valori democratici e i princìpi dello stato di diritto per poter ricevere i fondi. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha respinto questa proposta, con il risultato che i leader nazionali hanno in parte scaricato sulla Commissione il compito di elaborare nuovi strumenti di salvaguardia, pur approvando la possibilità che una maggioranza ponderata di governi possa bloccare i finanziamenti a un paese per questioni relative allo stato di diritto.

Cosa c’entra il bilancio dell’Unione?

Tutto il pacchetto è stato negoziato insieme al bilancio dei prossimi sette anni, che ammonterà a 1.074 miliardi di euro e sarà in vigore fino al 2027. Tra i punti più discussi ci sono gli sconti concessi agli “stati frugali” (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia) e alla Germania sui loro normali contributi al bilancio europeo. I leader hanno quindi stabilito i contributi nazionali per i prossimi anni, e hanno concesso alla Commissione il potere di prendere in prestito denaro sui mercati finanziari per contrastare la recessione. Anche se la maggior parte dei soldi ottenuti andrà al recovery fund, il resto sarà destinato a voci già esistenti nel bilancio dell’Unione, come il programma Horizon (dedicato alla ricerca scientifica), lo sviluppo delle aree rurali e il Fondo per una transizione giusta, che dovrebbe aiutare i paesi più poveri a ridurre le emissioni di gas serra. I sussidi destinati a questi programmi sono però stati fortemente ridotti rispetto alla prima proposta della Commissione.

Come saranno ripagati i debiti?

Le obbligazioni emesse dalla Commissione avranno scadenze diverse, ma tutti i debiti dovrebbero essere ripagati entro la fine del 2058. Questo rischia di pesare sui futuri bilanci dell’Unione, e i paesi europei non sono certo ansiosi di aumentare i propri contributi. Bruxelles sperava che gli stati membri acconsentissero a trasferirle i ricavi di possibili nuove imposte ecologiche e tasse digitali – definite collettivamente “risorse proprie” – per contribuire a finanziare il debito. Ma l’accordo del 21 luglio offre solo una flebile speranza. I leader si sono impegnati solo su una nuova tassa sui rifiuti plastici non riciclati. Per il resto è stata stabilita una tabella di marcia verso nuove risorse proprie, in base alla quale la Commissione dovrà elaborare una proposta per una carbon border tax (una tassa sulle importazioni che dovrebbe compensare le emissioni di gas serra legate alle merci prodotte nei paesi esterni all’Unione europea) e per un’imposta digitale. Il risultato è che le spese per finanziare il debito potrebbero finire per pesare sui prossimi bilanci dell’Unione.

**Che succede ora? **

L’accordo del 21 luglio non risolve tutte le questioni. Per poter prendere in prestito i fondi, la Commissione ha chiesto di ampliare il suo “spazio di manovra”, cioè il divario tra le spese effettive e il quantitativo massimo di denaro che l’Unione può raccogliere dagli stati. Questa modifica dovrà essere approvata dai parlamenti di tutti i paesi, un processo che non si concluderà prima del 2021. Inoltre il parlamento europeo avrà un ruolo fondamentale nel trasformare questi progetti in legge. Gli eurodeputati dovranno ratificare il bilancio dell’Unione, e vogliono approfittarne per avere voce in capitolo sul _ recovery fund_, anche per garantire un chiaro legame tra i fondi europei e il rispetto dello stato di diritto.◆ ff


A ben guardare, però, tutti hanno combattuto per la loro causa. Il primo ministro italiano Giuseppe Conte voleva ottenere più soldi possibile per il suo paese, senza doversi assumere impegni su come spenderli e senza fare promesse di riforme. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán voleva uscire dal vertice con il permesso di continuare a governare in modo autoritario, senza interrompere il flusso di finanziamenti da Bruxelles a Budapest.

Per alcuni la posta in gioco era più alta. Non è per un improvviso moto di generosità che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha proposto, di comune accordo con il presidente francese Emmanuel Macron, di sostenere con 500 miliardi di euro i paesi più colpiti dalla pandemia, come l’Italia e la Spagna. Lo ha fatto perché sa che anche la Germania si troverebbe in grave difficoltà se l’Italia non si riprendesse. Lo ha fatto perché in gioco c’è l’integrità del mercato unico europeo, e quindi anche il futuro dell’economia tedesca.

I commenti
Tra critiche severe ed entusiasmo

Unione europea

La maggior parte dei giornali europei ha accolto con soddisfazione l’accordo sul recovery fund raggiunto al vertice di Bruxelles. Le Monde lo definisce “un segnale inequivocabile che i 27 sono decisi a preservare la loro unione in un mondo in cui la pandemia ha esacerbato i rapporti di forza tra le potenze e risvegliato gli istinti nazionalisti”. Secondo El País l’accordo “è un risultato positivo sia per l’Unione nel suo insieme sia per i paesi più colpiti, come la Spagna, che riceveranno la parte più consistente degli aiuti”.

Per Politiken “i leader europei hanno smentito una volta per tutte le voci su una comunità europea stanca, divisa e vicina al divorzio. Se la forza di un matrimonio si vede nelle crisi, la famiglia europea gode di ottima salute”. Secondo il quotidiano danese la premier Mette Fredriksen, che faceva parte del gruppo dei cosiddetti paesi “frugali”, “è tornata a casa con l’onore intatto, grazie agli sconti ottenuti sui contributi al bilancio. Ma quella che ora viene celebrata come una grande vittoria nazionale resterà un dettaglio da contabili nella prospettiva più ampia della storia europea”.

Anche il premier ungherese Viktor Orbán può dirsi soddisfatto, scrive il settimanale di Budapest Hvg. “La sua principale richiesta è stata accolta: l’espressione ‘stato di diritto’ appare una sola volta nell’accordo. Questo, però, non significa che il pagamento delle sovvenzioni europee non sia soggetto a condizioni politiche. Il punto è che la natura di queste condizioni e il meccanismo sanzionatorio adottato rendono molto difficile ogni intervento”.

Molto più critica la tedesca Tageszeitung, secondo la quale il compromesso raggiunto “lascia l’amaro in bocca” e potrebbe aver piantato i semi della prossima crisi: “Per quattro giorni i leader dell’Unione hanno mostrato come pensano davvero: in modo nazionale ed egoistico. I pericolosi riflessi della crisi provocata dalla pandemia sono riemersi più forti che mai: l’Europa si è rivelata non un’unione di valori basata sulla solidarietà, ma una comunità di egoisti che si aiutano solo in casi di emergenza e a rigide condizioni. Il taglio ai sussidi significa che i fondi saranno appena sufficienti a tappare i buchi nei bilanci di Roma, Madrid o Atene, non per lanciare un vero programma di stimolo. E anche l’Unione dovrà fare economie, perché i debiti andranno ripagati e il bilancio è stato ridotto”. È della stessa opinione il portoghese Expresso: “L’accordo raggiunto a Bruxelles è peggio di un fallimento e avrebbe dovuto essere bloccato dal Consiglio europeo. È un altro passo verso la distruzione del progetto europeo e la dimostrazione che quattro paesi possono imporre la loro volontà su quella di Germania e Francia”.

L’olandese Nrc si concentra sul ruolo svolto dai Paesi Bassi, che secondo alcuni dopo la Brexit hanno sostituito il Regno Unito nel ruolo di guastafeste. Il premier olandese Mark Rutte ha guidato il fronte dei paesi frugali ed è stato paragonato alla britannica Margaret Thatcher, che si era opposta fermamente a una maggiore integrazione europea. “È un confronto interessante”, scrive Nrc. “Per i Paesi Bassi gli ultimi mesi sono stati un brusco risveglio. Finora nei negoziati gli olandesi avevano potuto nascondersi dietro i britannici, ma dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Rutte ha dovuto esporsi per difendere i suoi interessi. Inoltre bisogna aggiungere la crisi innescata dal covid-19 e l’improvvisa svolta della cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma i Paesi Bassi non sono certo il Regno Unito. Per un piccolo stato basato sul commercio, privo di rilevanza militare e geopolitica, l’importanza di appartenere all’Unione europea è molto più evidente che per i britannici. Gli olandesi lo sanno benissimo, ed è per questo che alla fine sull’accordo c’è anche la loro firma”. ◆


Se si considerano i molteplici interessi in gioco, quello che è stato raggiunto in quattro giorni appare ancora più importante. I capi di stato e di governo hanno preso decisioni per un totale di 1.800 miliardi di euro. Il pacchetto di aiuti, il cosiddetto _ recovery fund_, sarà dotato di 750 miliardi, e il bilancio dell’Unione per il periodo 2021-2027 ammonterà a più di mille miliardi.

Qualcosa per ognuno

Tutti hanno avuto quello che volevano. Rutte, portavoce dei cosiddetti paesi frugali (Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia), ha ottenuto che dei 750 miliardi solo 390 siano assegnati come sussidi a fondo perduto. Allo stesso tempo, questi paesi si sono assicurati degli sconti sui loro contributi al bilancio europeo. Orbán ha dovuto accettare che i fondi europei siano vincolati al rispetto dello stato di diritto, ma il meccanismo è così farraginoso che può tranquillamente accettarlo. Germania e Francia hanno raggiunto il loro obiettivo, ovvero che siano concessi ingenti sussidi ai paesi più colpiti dalla pandemia. Il governo italiano può essere soddisfatto.

Ma questo vertice non è solo la dimostrazione che la macchina europea del compromesso funziona. È molto di più: per la prima volta la Commissione europea prenderà in prestito denaro sul mercato dei capitali internazionali per finanziare il piano. È una grande novità, un tabù infranto: il primo passo verso la condivisione del debito.

Certo, ne sarà valsa la pena solo se il denaro arriverà dove serve davvero e se sarà usato in modo produttivo. Solo allora questo vertice potrà essere definito storico, e l’Europa avrà superato un grande ostacolo verso un’unione ancora più profonda. ◆nv

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1368 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati