Il Pakistan è nel mezzo della più grande catastrofe “naturale” mai vissuta. Secondo l’autorità nazionale per la gestione dei disastri, negli ultimi tre mesi più di mille persone sono morte, quasi 300mila abitazioni sono state danneggiate e circa 200mila sono state distrutte. Se si stima che in ogni abitazione vivono circa sei persone (ed è una stima prudente), allora trenta milioni di persone – quasi il 15 per cento dell’intera popolazione del Pakistan – sono rimaste senza casa o in abitazioni precarie.

Al momento ci sono solo ipotesi. L’inondazione è di tali proporzioni che la portata della distruzione e delle perdite sarà più chiara solo dopo che le acque si saranno ritirate. È una catastrofe che si svelerà per gradi e i cui effetti si estenderanno al di là delle aree colpite. Di sicuro i danni questa volta superano di gran lunga quelli delle inondazioni del 2010, per quanto devastanti, che erano state causate dalle piene dei fiumi. Questa volta invece l’acqua è ovunque. Ed è implacabile.

La regione del Sindh, la seconda più popolosa del paese, è completamente inondata. Da Karachi, a sud, a Kashmore, nel nord del paese, la devastazione è tale che ogni altra inondazione di cui si ha memoria impallidisce al confronto. Alcune aree hanno ricevuto in un brevissimo intervallo di tempo una quantità di pioggia superiore a quella che l’intera regione riceve normalmente durante tutta la stagione dei monsoni. Nel 2010 le aree più colpite erano quelle sull’argine destro del fiume Indo, stavolta invece gli effetti riguardano tutta la regione. I soccorsi non riescono a gestire l’emergenza. Le persone sono costrette a restare all’aperto o a trovare rifugi di fortuna, mentre aumentano i pericoli dovuti alle malattie causate dall’acqua stagnante e dalle zanzare.

Le infrastrutture sono state gravemente colpite anche nel resto del paese. In Beluchistan, la provincia più povera già prima delle inondazioni, la situazione è particolarmente tragica. Grandi aree sono del tutto inaccessibili, ma l’entità dei danni emergerà con chiarezza solo nei prossimi mesi. Finora, stando ai dati dell’autorità per la gestione dei disastri, più di 710 chilometri di strade asfaltate sono stati completamente spazzati via. In termini assoluti, la più colpita è stata la rete stradale del Sindh, con più di 2.200 chilometri distrutti.

E il peggio deve ancora arrivare: si pensi ai danni all’agricoltura e a quello che lasciano presagire. Nel Sindh, stando a quanto dichiarato dalle autorità, l’intero raccolto di cotone è andato distrutto e lo stesso vale per gran parte di quello di canna da zucchero. Anche i frutteti hanno subìto danni molto gravi. Non è una catastrofe solo per gli agricoltori, ma anche per il settore tessile, da cui dipende buona parte delle esportazioni del paese. La crisi colpirà anche i mulini da riso e le aziende che esportano il prodotto.

Da sapere
Le zone colpite

◆ Il 30 agosto 2022 il primo ministro pachistano Shehbaz Sharif ha accusato l’uso dei combustibili fossili in occidente di essere responsabile delle catastrofi climatiche senza precedenti di cui oggi pagano le conseguenze il Pakistan, che produce l’1 per cento delle emissioni mondiali di gas serra, e altri paesi del sudest asiatico. Sharif ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinché invii fondi per far fronte ai danni delle inondazioni, che si stima siano intorno ai dieci miliardi di dollari. La ministra per il clima Sherry Rehman prevede che, nonostante molte città siano sommerse dall’acqua, nelle prossime settimane a causa delle alte temperature il paese soffrirà per la siccità. Intanto, i soccorsi faticano a raggiungere molte delle aree colpite. L’Onu ha lanciato un appello per raccogliere 160 milioni di dollari per l’emergenza. Bbc


L’intera filiera dell’agroalimentare è stata praticamente spazzata via: dagli intermediari ai produttori di fertilizzanti. Anche il grano è a rischio. La coltivazione potrebbe interrompersi, non solo a causa delle inondazioni, ma anche per le perdite subite dagli agricoltori, la maggior parte dei quali vive grazie al raccolto della stagione precedente. Le grandi aziende agricole sono in grado di far fronte alla situazione, ma i più piccoli non hanno le risorse per sopravvivere a un mancato raccolto.

Sviluppo senza regole

Il danno riguarda anche agli allevatori. Sono scomparsi centinaia di migliaia di capi di bestiame, una perdita irreparabile che renderà la ricostruzione ancora più difficile. In termini economici, è un colpo molto forte al pil del Pakistan e annuncia la possibilità concreta di una terribile crisi alimentare. Se a questo si aggiunge la migrazione di massa prevista verso i centri urbani si può facilmente immaginare cosa riserva il futuro per il paese.

A Waseb, nel Punjab, e probabilmente anche in altre zone, il disastro è stato aggravato da un modello di sviluppo tragicamente sbagliato: i corsi d’acqua e i canali naturali che dalle montagne portano all’Indo sono stati interrotti da costruzioni di vario tipo, mentre i tradizionali sbancamenti che incanalano le piene sono stati lasciati in stato di abbandono.

La portata delle precipitazioni è stata tale che probabilmente nessuno di questi canali sarebbe stato sufficiente a contenere la piena. Ma i danni si sarebbero potuti mitigare se il paese non fosse stato così ossessionato dallo sviluppo cieco, che ignora la natura del territorio. Basti vedere cos’è successo nel distretto di Swat, dove case, ristoranti e alberghi, costruiti proprio sull’argine del fiume in aperta violazione di ogni norma, sono stati completamente distrutti dalla piena del fiume. Riusciremo a ricostruire? Saremo in grado di raccogliere i pezzi e andare avanti? E, cosa più importante di tutte, abbiamo imparato la lezione? ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1476 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati