17 novembre 2015 14:04

Lunedì François Hollande ha annunciato al parlamento il progetto di una vasta revisione della costituzione per “permettere ai poteri pubblici di agire conformemente allo stato di diritto contro il terrorismo di guerra”. Il presidente francese vuole riformare la costituzione prendendo spunto dal comitato Balladur del 2007, che proponeva di inserire nella carta costituzionale lo stato d’emergenza.

Una fonte del governo ha parlato della creazione di un regime costituzionale “di stato di crisi” e di un “visto di ritorno” per i francesi o i residenti in Francia che fossero “coinvolti in attività terroriste all’estero”.

Più precisamente, Hollande vuole rivedere due articoli della costituzione francese:

  • Articolo 36. Regola “lo stato d’assedio” quando la Francia è attaccata o colpita da una rivolta armata e prevede il trasferimento di alcuni poteri all’autorità militare. Può essere applicato solo in parte del territorio e permette di trasferire i poteri civili e di polizia all’esercito, insieme alla creazione di giurisdizioni militari. Lo stato d’assedio si proclama in caso di una grave crisi, una guerra o una rivolta armata.
  • Articolo 16. Permette al presidente di attribuirsi “poteri eccezionali” quando una minaccia “grave e immediata” incombe “sulle istituzioni della repubblica, sull’indipendenza della nazione, l’integrità del suo territorio o l’esecuzione dei suoi impegni internazionali”. L’articolo è stato concepito come una risposta all’immobilismo governativo ed è stato applicato solo una volta, all’epoca del putsch dei generali del 1961, durante la guerra d’Algeria. All’epoca De Gaulle aveva assunto pieni poteri da fine aprile a fine settembre.

Il presidente ha sottolineato che questi due articoli “non sono adatti alla situazione in cui ci troviamo”. Hollande ha parlato di “terrorismo di guerra” perché “il funzionamento regolare dei poteri pubblici non è interrotto e non è immaginabile trasferire alcuni poteri all’autorità militare. Eppure siamo in guerra”. Per questo motivo secondo il presidente è necessario avere “un diverso regime costituzionale”.

Hollande ha evocato le proposte del comitato Balladur, incaricato nel 2007 di preparare una modifica costituzionale. Il gruppo di 13 esperti era stato formato dal presidente dell’epoca Nicolas Sarkozy e aveva formulato 77 proposte di modifica della costituzione per rendere “più democratica” la quinta repubblica.

Il Patriot act francese

A proposito dell’articolo 36, nel 2007 il comitato Balladur suggeriva che accanto allo stato d’assedio nella costituzione fosse inserito lo stato d’emergenza, la cui attivazione avviene oggi attraverso un decreto del consiglio dei ministri e i cui contorni dipendono da una legge ordinaria. Lo stato d’emergenza in cui si trova la Francia da venerdì scorso non ha infatti alcuna definizione costituzionale, ma nasce da una legge del 1955. Basta un decreto per attivarlo, ma è necessaria una legge per prolungarlo oltre i 12 giorni.

Questo stato limita fortemente le libertà pubbliche e rende possibili: l’instaurazione di un coprifuoco, la regolamentazione della circolazione o del soggiorno da parte dei prefetti, l’obbligo di dimora, la chiusura di locali e bar, il divieto di manifestazione pubblica, perquisizioni diurne e notturne senza l’autorizzazione di un giudice, controlli sulla stampa e sulla radio.

Soprattutto lo stato d’emergenza non è previsto per una crisi di lunga durata: le condizioni della sua attivazione sono un “pericolo imminente risultante da attentati gravi all’ordine pubblico o eventi che per loro natura e gravità assumono il carattere di calamità pubblica”.

Ora François Hollande vorrebbe “poter disporre di uno strumento appropriato per applicare misure eccezionali per una certa durata senza passare dallo stato d’assedio e senza rinnegare le libertà pubbliche”. In sostanza si tratterebbe di uno stato d’emergenza un po’ “alleggerito” sul piano dei poteri concessi allo stato ma che potrebbe durare più a lungo. Una proposta che inevitabilmente ricorda il Patriot act approvato dall’amministrazione Bush dopo l’11 settembre 2001.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato su Le Monde. Clicca qui per vedere l’originale.

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