07 aprile 2016 13:27

A volte è percepita come un prodotto del lontano futuro. Ma l’intelligenza artificiale (Ai) è oggi la più grande ossessione della Silicon valley. Nel 2015 le aziende tecnologiche hanno speso 8,5 miliardi di dollari in accordi e investimenti sull’intelligenza artificiale, il quadruplo rispetto al 2010.

Quasi tutti i giganti della tecnologia, tra cui Google, Microsoft, Facebook, Amazon e Baidu, sono in competizione per assicurarsi i migliori esperti di intelligenza artificiale, si accaparrano startup e riversano soldi nella ricerca. Come si spiega questa improvvisa euforia?

L’intelligenza artificiale non è sempre stata così popolare. Il settore è stato in larga misura ignorato e privo di finanziamenti durante il lungo “inverno” degli anni ottanta e novanta. All’epoca la ricerca sull’intelligenza artificiale che si conduceva all’università appariva deludente per lentezza e irrilevanza rispetto alle attese delle aziende.

Adesso però il freddo è passato e ci sono stati molti progressi nel campo dell’intelligenza artificiale. Di recente Google è finita sulle prime pagine quando DeepMind, una startup acquisita nel 2014, ha contribuito ad addestrare un computer che ha sconfitto più volte il campione mondiale di go, un gioco da tavolo.

La vicenda ha scatenato timori e speranze per il futuro dell’Ai: speranze per i lauti guadagni e per la possibilità di migliorare la vita delle persone grazie alla tecnologia; timori per il modo in cui la società riuscirà a gestire il processo di dislocazione che potrebbe essere associato all’intelligenza artificiale.

Oggi l’intelligenza artificiale è appannaggio dei fanatici della tecnologia, ma il suo futuro riguarda tutti

Il settore sta già cominciando a generare sostanziosi profitti per le aziende, il che contribuisce a spiegare i crescenti investimenti nello sviluppo delle sue potenzialità. L’apprendimento automatico, che permette ai computer di diventare più intelligenti processando grandi quantità di dati, oggi consente di sviluppare diverse applicazioni redditizie tra cui il riconoscimento facciale nelle fotografie, i filtri antispam e quelli che aiutano a gestire meglio le campagne pubblicitarie su internet.

Il rischio del monopolio intellettuale

Molti dei progetti più ambiziosi delle aziende tecnologiche, tra cui la costruzione di auto che si guidano da sole e la progettazione di assistenti personali virtuali che possono capire ed eseguire compiti complessi, si basano anch’essi sull’intelligenza artificiale, soprattutto sull’apprendimento automatico e sulla robotica. Questo ha spinto le aziende tecnologiche a cercare di reclutare il maggior numero di talenti possibile nelle università, dove insegnano e fanno ricerca i migliori esperti di intelligenza artificiale. Alcuni temono una fuga di cervelli dall’accademia al settore privato.

La preoccupazione maggiore, tuttavia, è che un’azienda possa accaparrarsi la gran parte dei talenti nel settore, creando una sorta di monopolio intellettuale. Google sembra trovarsi nella posizione migliore: grazie al suo progetto Google Brain e all’acquisizione di DeepMind, dispone di alcuni dei più brillanti cervelli che lavorano sull’intelligenza artificiale.

Poiché i sistemi superiori di Ai sono in grado di imparare e migliorare più velocemente, le aziende che ottengono un vantaggio in questo campo potrebbero raccogliere i frutti più sostanziosi ed erigere barriere difficili da superare per le aziende più piccole. Nel dicembre 2015, Elon Musk e altri dirigenti del settore tecnologico hanno promesso un miliardo di dollari al finanziamento di OpenAi, un laboratorio di ricerca che renderà pubbliche tutte le sue scoperte, per garantire la presenza di un ente che lavori allo sviluppo dell’intelligenza artificiale in nome del bene pubblico e non solo dei suoi profitti.

Oggi l’intelligenza artificiale è appannaggio dei fanatici della tecnologia, ma il suo futuro riguarda tutti quanti.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo di A.E.S. è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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