27 ottobre 2016 12:20

Qualche anno fa alcune compagnie aeree hanno introdotto delle aree vietate ai bambini sui loro velivoli per fare presa su chi viaggiava per affari. Adesso un’altra compagnia si è unita alla lista. A settembre il vettore indiano IndiGo ha annunciato che le file dalla 1 alla 4 e dalla 11 alla 14 (che comprendono anche la fila dell’uscita di emergenza) saranno “zone silenziose”, lontane da bambini di età inferiore ai 12 anni. Secondo l’International Business Times, le file dispongono di uno spazio per le gambe più ampio, di braccioli più comodi e di sedili imbottiti. E, inutile dirlo, costano di più.

Sembra un fenomeno tutto asiatico. Tra le altre compagnie aeree che hanno sperimentato questa idea ci sono la Scoot, un vettore low cost di Singapore, e la malese AirAsia X. Nel 2013 Skift ha effettuato un sondaggio tra le più grandi compagnie aeree americane e non ha rilevato alcun desiderio di proseguire su questa strada. Bisogna comunque dire che l’idea è stata discussa all’interno delle riunioni di redazione dell’Economist. In realtà, nel 1998 avevamo scritto un editoriale su questo argomento:

Viviamo in tempi sempre più intolleranti. Si moltiplicano i segnali che intimano di non fumare, di non sputare, di non parcheggiare, perfino di non camminare… Se l’intolleranza deve davvero essere lo spirito di questi tempi, l’Economist suggerirebbe delle restrizioni su un’altra fonte di inquinamento acustico: i bambini. Se non pensate si tratti di un mero pregiudizio, siamo perfino in grado di produrre un’argomentazione economica a favore di queste misure. Il fumo, la guida e i telefoni cellulari provocano tutti quella che gli economisti definiscono ‘esternalità negativa’. I costi di queste attività per le altre persone, cioè, tendono a superare i costi per gli individui che le praticano. La mano invisibile del mercato procede a tentoni, devia risorse nella direzione sbagliata. I bambini, come le sigarette o i cellulari, impongono con tutta evidenza un’esternalità negativa alle persone vicine. La soluzione è ovvia. Tutte le compagnie aeree, i treni e i ristoranti dovrebbero creare delle zone con divieto di accesso ai bambini. Mettete tutti quei bambini in fondo all’aereo e i genitori potrebbero fare qualche sforzo in più per ridurre l’inquinamento acustico che provocano.

Abbiamo ricevuto, forse meritatamente, una lettera ben argomentata da uno di quelli che cercavamo di isolare:

Signore, sbaglia a dire che i bambini sono come le sigarette o i cellulari. Nessuno è obbligato a fumare o a usare un cellulare, ma tutti devono essere bambini, e anche lei lo è stato un tempo. I bambini servono a pagare le pensioni di orribili vecchi come lei. E adesso perché non se la prende con uno della sua talia (sic)? Sua, Jessica Morley (6 anni).

È indubbio che trovarsi accanto a un bambino che urla, soprattutto se è di qualcun altro, è orribile. In realtà siamo programmati per ritenerla una cosa stressante. Secondo uno studio neurologico dell’università di Oxford, il pianto di un bambino stimola aree del cervello che scatenano una immediata risposta del tipo combatti o scappa, a differenza del guaito di un animale o del pianto di un adulto. Secondo Christine Parsons, una delle ricercatrici, per questo è impossibile ignorarlo: “Quando si sente piangere un bambino su un aereo, si entra subito in allarme, anche se non lo vogliamo ascoltare”.

E tuttavia vale la pena notare due cose sulle aree silenziose, soprattutto quelle propugnate da AirAsia e simili. Innanzitutto, la loro inutilità. Chiedete a qualcuno vecchio abbastanza da ricordare quando gli veniva assegnato un posto nell’ultima fila “per non fumatori” prima dell’inizio dell’area per fumatori: un aereo open space non si isola facilmente. Se tra voi e un bambino che urla ci sono un paio di file, la differenza non sarà poi tanta.

In secondo luogo, c’è una difesa molto migliore contro l’inquinamento. Chiunque viaggi per lavoro e ha del lavoro da svolgere sull’aereo, potrà portare con sé cuffie che eliminino i rumori. Non possono essere usate durante il decollo o l’atterraggio, quando i viaggiatori non hanno altra scelta che ascoltare qualsiasi bambino urlante (Gulliver di solito si affida a un altro tipo di protezione durante quei momenti: l’empatia). Una volta in quota, con il portatile aperto, chi viaggia per lavoro non può dire di essere disturbato da ciò che gli accade intorno, si tratti delle urla di un neonato o del vuoto chiacchiericcio di una famiglia che sta andando in vacanza.

Quattro regole d’oro
Tra l’altro, Gulliver ha passato ore e ore a formulare e sperimentare una complicata teoria sulla musica perfetta da ascoltare su un aereo mentre si lavora. Molte ore di analisi approfondite mi hanno condotto alla formulazione di quattro regole d’oro.

Primo, la musica deve essere strumentale. È difficile mettere giù delle parole su una pagina quando nei timpani ne entrano altre in competizione. Secondo, deve essere familiare; dovrebbe essere come un vecchio paio di ciabatte che ti proteggono da ciò che ti succede intorno senza farsi notare. Terzo, deve essere a un livello costante: niente pezzi tranquilli, durante i quali i rumori in cabina possono intromettersi e spezzare l’incantesimo, né pezzi in crescendo, che potrebbero cogliervi di sorpresa. Infine, non deve essere né troppo vivace né troppo soporifera.

Di conseguenza posso affermare che il miglior album per lavorare mentre si è in volo è Journey in Satchidananda di Alice Coltrane. Coltrane usava un ronzio nella sua musica la cui frequenza era quasi identica a quella del motore di un aereo, con l’effetto di cancellarlo. Gulliver ammette che il jazz sperimentale è per molte persone l’equivalente musicale delle unghie che grattano su una lavagna. Ma è pur sempre meglio dell’ululato di un ragazzino esaurito.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo di B. R. è stato pubblicato sul blog Gulliver dell’Economist.

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