03 aprile 2017 16:54

Il recente divieto statunitense di portare a bordo computer e altri dispositivi elettronici di grandi dimensioni sui voli diretti da alcuni aeroporti del Medio Oriente agli Stati Uniti è una cattiva notizia per chi è in viaggio d’affari e vorrebbe lavorare approfittando della lunghezza del percorso. E di conseguenza è un problema per le compagnie aeree che volano su queste tratte.

Vettori come Emirates, Turkish, Qatar ed Etihad sono in competizione per accaparrarsi i viaggiatori su lunghe tratte in tutto il mondo. Adesso sono diventate un po’ meno competitive (di recente ho prenotato un volo da Manila a Washington, su Emirates via Dubai; se avessi saputo quello che stava per succedere, avrei potuto scegliere un volo via Tokyo o via Pechino).

Dopo l’annuncio del divieto, le azioni della Turkish Airlines sono crollate di più del 7 per cento (poco dopo il Regno Unito ha annunciato restrizioni simili che però lascerebbero fuori gli hub più importanti per i collegamenti globali negli Emirati Arabi Uniti, in Qatar e in Turchia). Allo stesso tempo, le compagnie aeree rivali sono entusiaste della notizia. Attualmente circa la metà dei viaggiatori tra l’India e gli Stati Uniti sceglie Emirates, Etihad e Qatar. Ora Air India prevede di accaparrarsi una parte di questo mercato.

La poesia contro i divieti
Comunque, le compagnie aeree colpite e i loro paesi di riferimento non sono rimaste a guardare. La Turkish Airlines è per metà di proprietà dello stato, e i mezzi d’informazione filogovernativi turchi hanno criticato il divieto definendolo un complotto per danneggiare la compagnia aerea.

Etihad ha assestato a Donald Trump un colpo un po’ più discreto, diffondendo una pubblicità intitolata “Rendiamo di nuovo grande il volo”. Il video pubblicizza il cibo, le console per giochi e film piazzate sugli schienali dei sedili e il wifi per gli smartphone, in altri termini tutti i modi in cui i passeggeri possono godersi il volo senza il bisogno di un computer portatile o di un tablet.

Lo stesso giorno in cui è stato annunciato il divieto, Emirates ha postato un video da 18 secondi su Twitter che comincia così: “E chi ha bisogno di portatili e tablet?”. Si vede l’attrice Jennifer Aniston stupita dai giochi e dai film disponibili. Non tutti i possibili clienti hanno apprezzato: il primo tweet in risposta al video era di un dipendente del Middle East Media Center che ha scritto: “@emirates i giornalisti non vogliono svaghi nei viaggi lunghi. I computer portatili sono necessari per rispettare una scadenza”.

La Royal Jordania Airlines ha assunto l’approccio forse più innovativo, rispondendo su Twitter in versi (non proprio in metrica): Ogni settimana un nuovo divieto / Andate negli Stati Uniti visto che potete farlo / Noi adesso siamo poeti a causa tua figliolo / nessuno può rovinare il nostro divertimento di bordo / Abbiamo buoni consigli per tutti”.

La compagnia aerea ha poi twittato le “Dodici cose da fare durante un volo da dodici ore senza portatili o tablet”, anche se alcune potrebbero non essere così convincenti, come la numero 9, “fate finta che il tavolino pieghevole sia una tastiera”, o un’altra che suggerisce di fare “quello che noi giordani sappiamo fare meglio… fissarci a vicenda!”.

Compagnie disperate
Pochi tra coloro che volano da Dubai a New York per motivi di lavoro si accontenteranno di fissarsi a vicenda per quattordici ore. I biglietti a prezzi bassi possono bastare a spingere i turisti verso le compagnie aeree colpite dal divieto se queste hanno la possibilità di scegliere di far passare i loro voli da un’altra parte. Per chi viaggia per lavoro, però, il tempo è denaro. Poter svolgere del lavoro in aereo è fondamentale.

Perciò è improbabile che un video carino o una poesia dilettantesca possano convincerne molti a rinunciare ai loro computer portatili. Alla fin fine questi tentativi delle compagnie aeree di mantenere la clientela la dicono lunga sul loro senso di disperazione più che sul loro senso dell’umorismo.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo di A. W. è uscito sul settimanale britannico The Economist nel blog Gulliver.

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