13 agosto 2018 15:00

Era stato presentato come il discorso che avrebbe salvato la disastrata lira turca dal baratro, o che perlomeno ne avrebbe attutito la caduta. Ma nel momento in cui il ministro delle finanze turco, Berat Albayrak, il 10 agosto ha presentato un nuovo piano per l’economia, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha twittato che avrebbe raddoppiato i dazi doganali sull’acciaio e l’alluminio della Turchia.

La lira si è ulteriormente inabissata. Nel giro di un’ora ha toccato un nuovo minimo, 6,80 rispetto al dollaro, segnando così la sua peggiore prestazione in più di dieci anni. In seguito si è leggermente ripresa, ma dall’inizio dell’anno ha perso il 40 per cento del suo valore rispetto alla valuta statunitense.

La decisione di Trump è stata presa nell’ambito di una contesa tra due alleati della Nato ormai in conflitto. Il tesoro degli Stati Uniti ha congelato i beni di due ministri turchi a causa del loro ruolo nella detenzione del pastore statunitense Andrew Brunson (un accordo che avrebbe rimandato a casa l’uomo è naufragato all’ultimo minuto). Una delegazione inviata a Washington per allentare la tensione sembra non aver ottenuto alcun risultato.

Ai ferri corti
La Turchia e l’amministrazione Trump sono ai ferri corti su molte altre questioni. La Turchia ha stretto un accordo per acquistare un sistema missilistico avanzato dalla Russia, infastidendo molti dei suoi partner nella Nato.

Una delle principali banche del paese è risultata coinvolta in un piano volto ad aggirare le sanzioni contro l’Iran. La Turchia è inoltre furiosa con gli Stati Uniti per la loro decisione di subappaltare la loro guerra contro i combattenti del gruppo Stato islamico in Siria a quello che Ankara considera un gruppo terroristico curdo. Alcuni funzionari turchi hanno accusato gli Stati Uniti di aver avuto un ruolo nel tentato colpo di stato contro il presidente Recep Tayyip Erdoğan di due estati fa.

Erdoğan non sembra in vena di concessioni e presenta il crollo della lira come parte di un complotto contro la Turchia. In un discorso tenuto prima dell’annuncio di Trump sui dazi, l’uomo forte della Turchia ha detto che il suo paese era in piena “guerra economica” contro i poteri esterni.

Il presidente ha chiesto ai suoi sostenitori di convertire in lira turca i loro risparmi in dollari e in euro per salvare la valuta nazionale. “Questa sarebbe la migliore risposta possibile all’occidente”, ha dichiarato.

Ma la lira si trovava sotto pressione ben prima delle ultime scaramucce con gli Stati Uniti. Incoraggiate da Erdoğan, che ha spinto la banca centrale a mantenere bassi i tassi d’interesse, le aziende turche hanno fatto incetta di credito a basso costo, buona parte del quale in dollari, accumulando oltre 220 miliardi di dollari di debito. L’inflazione ha toccato quasi il 16 per cento in luglio.

Albayrak, che è anche il genero del presidente e la cui nomina a ministro delle finanze a luglio ha ulteriormente innervosito gli investitori, non è stato all’altezza della sfida. Mentre la lira accumulava record negativi, ha aspettato una settimana prima di presentare un programma perlopiù privo di proposte di riforma specifiche. Nel frattempo la banca centrale ha fatto finta di niente, aumentando i tassi d’interesse il 7 giugno. Da allora la lira turca ha perso circa un terzo del suo valore.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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