02 settembre 2019 16:01

Nel 2015 Richard Sackler, della famiglia di miliardari che controlla l’azienda farmaceutica Purdue Pharma, aveva dovuto testimoniare in una causa per il presunto marketing ingannevole operato – e negato fermamente – dalla sua azienda, accusata di minimizzare la dipendenza potenziale da OxyContin, un suo potente antidolorifico a base di oppioidi.

La trascrizione di quella testimonianza è stata resa pubblica a febbraio di quest’anno, alimentando lo sdegno per il ruolo di Purdue nella crescente epidemia di oppioidi degli Stati Uniti. Il 27 agosto è poi emerso un filmato nel quale Sackler difende la vendita da parte della sua azienda di OxyContin e altri oppioidi senza le dovute cautele.

Stavolta, tuttavia, la rabbia popolare è stata attenuata da quanto accaduto il giorno prima in Oklahoma. Il giudice Thad Balkman ha infatti ritenuto l’azienda Johnson & Johnson colpevole di aver creato un “momentaneo disturbo alla quiete pubblica” contribuendo all’epidemia di oppioidi che in Oklahoma ha provocato la morte di circa seimila persone dal 2000. Balkman ha ordinato all’azienda di pagare 572 milioni di dollari per la creazione di un piano che metta fine alla crisi.

I critici delle aziende fornitrici degli oppioidi hanno esultato. Nel 2004 la Purdue aveva patteggiato con le autorità del West Virginia nel corso di un processo per vendita inappropriata di OxyContin, pagando dieci milioni di dollari e dichiarandosi innocente.

Da allora, osserva Elizabeth Burch della facoltà di legge dell’università della Georgia, quasi tutti i casi sono finiti con un patteggiamento, senza rivelare i dettagli dei contenziosi. Il processo attuale, cominciato a maggio in Oklahoma, ha già portato alla luce le disgustose pratiche del settore. La vittoria dell’accusa spiana la strada a importanti azioni legali e a multe in denaro potenzialmente ingenti.

Per i grandi produttori di oppioidi si profila qualcosa di simile a quello che le cause legate alle sigarette hanno fatto ai grandi produttori di tabacco. E il danno potrebbe colpire non solo le aziende produttrici ma anche i distributori e i venditori al dettaglio coinvolti nel commercio di oppioidi.

A essere prese di mira sono le case farmaceutiche ma anche anche produttori di oppioidi, grandi distributori e i venditori al dettaglio

Il procuratore generale dell’Oklahoma ha trascorso mesi impegnato in una dura battaglia contro la Johnson & Johnson in un tribunale statale, per valutare la responsabilità dell’azienda nella locale crisi degli oppioidi. Poiché la vittoria per lo stato appariva improbabile la Johnson & Johnson ha scelto di andare a processo invece di patteggiare, come invece avevano fatto la Purdue e la Teva, un produttore di farmaci generici israeliano, che avevano pagato rispettivamente 270 e 85 milioni di dollari.

Alcuni esperti di diritto erano scettici riguardo alla nuova interpretazione, da parte dell’accusa, di cosa sia da considerare disturbo alla quiete pubblica, un’infrazione generalmente associata a chi inquina o sfrutta la prostituzione. Inoltre la Johnson & Johnson è responsabile solo di una piccola parte delle vendite di oppioidi nello stato.

Il verdetto del giudice Balkman è quindi stato una sorpresa per molti. Secondo David Maris della banca Wells Fargo, la cosa potrebbe scoraggiare altre aziende accusate di complicità nella crisi dal rischiare la propria sorte in tribunale. La prima verifica di tale ipotesi sarà una causa federale in Ohio, il cui processo dovrebbe aprirsi in ottobre. Questa riunisce le rivendicazioni di circa duemila enti governativi locali e tribù native americane. A essere prese di mira sono case farmaceutiche come la Johnson & Johnson e la Purdue, ma anche anche produttori di oppioidi meno noti ma molto più grandi come la SpecGx e l’Actavis Pharma. Ma l’obiettivo sono anche i grandi distributori e i venditori al dettaglio, compresi colossi come Walmart e Walgreens. Tutte queste aziende negano di aver commesso illeciti.

La teoria di Maris ha trovato una parziale conferma il giorno dopo il verdetto in Oklahoma, quando i mezzi d’informazione hanno parlato di un significativo accordo in programma tra la Purdue, il giudice federale che sovrintende la causa in Ohio e i querelanti in tale causa, oltre che con vari procuratori generali di stato. L’azienda sarebbe disposta a pagare tra i dieci e i 12 miliardi di dollari, di cui tre provenienti dalla famiglia Sackler, nel quadro di una transazione fallimentare che vedrebbe l’azienda ricostruita nella forma di fondazione pubblica. Se tali voci fossero confermate, la nuova azienda continuerebbe a produrre sia oppioidi sia (con logica perversa) i farmaci che ne limitano gli effetti di dipendenza. La famiglia Sackler perderebbe il controllo della sua azienda e ogni futuro guadagno andrebbe ai querelanti.

Lo scenario più cupo
Tutto questo dovrebbe inquietare le case farmaceutiche. Ma gli analisti divergono sulla valutazione di quanto grandi dovrebbero essere le loro inquietudini. Tom Claps, esperto legale presso la società d’investimento Susquehanna Financial Group, calcola che il settore rischi di perdere circa 37 miliardi di dollari per le cause attualmente in corso. Patrick Trucchio di Berenberg, una banca d’investimento tedesca, pensa che i soli distributori potrebbero dover pagare quaranta miliardi di dollari per le loro responsabilità giuridiche. In tutta la filiera degli oppioidi, secondo Trucchio, il prezzo da pagare potrebbe raggiungere l’enorme cifra di 150 miliardi di dollari.

Questo è lo scenario più cupo. Per adesso gli investitori appaiono calmi. All’indomani della notizia del verdetto, che le ha imposto di pagare una cifra minima rispetto ai 17 miliardi di dollari richiesti dall’accusa, il valore azionario della Johnson & Johnson è salito. Con i profitti netti del suo ultimo trimestre, infatti, l’azienda sarebbe in grado di pagare un importo nove volte più alto della multa di 572 milioni di dollari. I suoi potenti avvocati si sono lamentati che la posizione del pubblico ministero rappresenti una “radicale rottura” nell’applicazione della legge e hanno promesso di ricorrere in appello, se necessario arrivando anche alla corte suprema.

Anche se l’accusa dovesse essere confermata da un giudice, le sue conseguenze potrebbero essere nulle al di là dei confini dell’Oklahoma. La maggior parte degli stati applica il concetto di disturbo della quiete pubblica in forma molto più ridotta rispetto all’Oklahoma, sottolinea Richard Ausness della facoltà di legge dell’Università del Kentucky. E questa interpretazione potrebbe essere presente in futuri processi, secondo Burch. Ma niente della decisione presa in Oklahoma può da oggi determinare cosa accadrà altrove.

Altre istanze legali contro produttori e distributori di farmaci devono ancora essere discusse in tribunale. Dopo gli sviluppi di agosto, potrebbero non averne la possibilità. Andrew Pollis, della facoltà di giurisprudenza della Case Western Reserve University, ritiene che le altre aziende potrebbero semplicemente imitare la Purdue. “Anche se il patteggiamento appare impossibile”, dice, “un processo è impensabile”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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