15 ottobre 2019 17:06

L’edificio di 60 Sloane avenue, a Londra, che comprende negozi, uffici e appartamenti, una volta era usato da Harrods come un magazzino. Ora è al centro dell’ultimo scandalo finanziario che scuote il Vaticano, potenzialmente il peggiore dai tempi dell’arcivescovo Paul Marcinkus, la cui presidenza piratesca della banca vaticana negli anni settanta e ottanta lo ha portato a trattare con massoni e mafiosi. Ora, come allora, in gioco non c’è solo l’onestà di un individuo, ma l’affidabilità del sistema di gestione finanziaria della Santa Sede.

Il 1 ottobre i gendarmi del Vaticano, su ordine dei suoi pubblici ministeri, hanno fatto irruzione negli uffici dell’Autorità per le informazioni finanziarie (Aif), l’autorità di regolamentazione bancaria vaticana, e in quelli della segretaria di stato, che nell’amministrazione vaticana unisce i ruoli di ufficio del primo ministro e del ministero degli esteri. Cercavano “documenti e dispositivi elettronici”, ha detto il Vaticano. Una circolare riservata alle guardie svizzere, che controllano l’accesso alla città murata, è trapelata mostrando che tra i cinque funzionari sospesi in attesa dell’esito dell’indagine c’era il direttore dell’Aif, Tommaso Di Ruzza.

“È un incubo”, dice un alto funzionario vaticano. “Rischia di cancellare tutti i risultati ottenuti negli ultimi otto anni”. Nel 2011 il Vaticano aveva accettato di far controllare il suo settore finanziario da Moneyval, l’autorità europea di controllo contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento al terrorismo. Da allora ha creato un quadro istituzionale simile a quello degli altri stati. I conti sospetti aperti presso la banca vaticana (nota come l’Istituto per le opere religiose, Ior) sono stati chiusi. Al momento del blitz, lo Ior aveva posto una pietra miliare sulla sua strada verso la rispettabilità avendo cominciato a utilizzare per i trasferimenti di denaro il sistema dell’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa).

Ma i dipendenti dello Ior non sono i soli a gestire i soldi in Vaticano. L’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa, l’organismo che si occupa della gestione del patrimonio economico vaticano) funge da fondo sovrano della Santa Sede, l’amministrazione centrale della chiesa cattolica. Il governo della Città del Vaticano guadagna parecchio grazie ai musei Vaticani. E diversi ministeri della Santa Sede, noti come dicasteri, gestiscono flussi di denaro senza controllo da parte dell’Aif.

Il cambiamento di papa Francesco
Nel 2014 papa Francesco ha creato la segreteria per l’economia, che deve supervisionare tutte le attività finanziarie della Santa Sede e dello stato della Città del Vaticano. Il suo primo capo, il cardinale George Pell, attualmente a processo (in appello) con l’accusa di abusi su minori in Australia, aveva dichiarato di aver scoperto, appena arrivato, “centinaia di milioni di euro” non dichiarati nel bilancio ufficiale. Alcuni in Vaticano, dove pullulano le teorie del complotto, credono che non sarebbe in prigione se non avesse tentato di prendere il controllo di quei fondi.

Inoltre, sotto la responsabilità del nuovo ente c’è la segreteria di stato che, secondo quanto riferito, gestisce circa 800 milioni di euro. Controlla le donazioni dei fedeli al pontefice – un fondo noto come l’obolo di san Pietro, l’apostolo scelto da Gesù per guidare la sua chiesa. Si dice anche che controlli il fondo Paolo VI e i beni trasferiti in Vaticano quando lo stato pontificio fu dissolto nel diciannovesimo secolo.

Secondo il settimanale L’Espresso nel 2011, sotto papa Benedetto XVI, la segreteria di stato ha versato quasi 200 milioni di euro in un fondo registrato in Lussemburgo. Tra i suoi investimenti c’era la partecipazione al 45 per cento in un immobile di Londra. Un funzionario vaticano lo identifica come il magazzino di Harrods. I gestori dell’edificio non hanno risposto a una richiesta di conferma. Una fonte vaticana afferma che le indagini dei pubblici ministeri si sono concentrate su una catena di transazioni messa in atto per far uscire la segretaria di stato dal fondo d’investimento e conferirgli la piena proprietà dei beni immobiliari acquistati a Londra, agendo attraverso un intermediario. La segreteria avrebbe chiesto un prestito allo Ior per pagare un mutuo sulla proprietà. Ma lo Ior ha rifiutato di essere coinvolto, anche se l’operazione generale è stata rimodellata su richiesta dell’Aif per garantirne la conformità. Con una dichiarazione vaga, il Vaticano ha affermato che l’inchiesta è stata avviata sulla base di relazioni dello Ior e dell’ufficio del revisore generale del Vaticano, che è anche l’autorità anticorruzione della Santa Sede.

Domande
Non è chiaro perché queste transazioni apparentemente di routine abbiano sollevato tali preoccupazioni. Inoltre perché la segreteria di stato avrebbe dovuto fare doppi investimenti in maniera indiretta, soprattutto visto che avrebbe potuto beneficiare di esenzioni fiscali? Perché la banca vaticana e l’ufficio del revisore generale sono andati dai pubblici ministeri invece di riferire all’Autorità per le informazioni finanziarie? E perché i pubblici ministeri hanno sentito la necessità di coinvolgere Di Ruzza visto che il mandato di perquisizione non lo accusa di niente di specifico, affermando semplicemente che non era chiaro il ruolo dell’Aif?

Notando che il mandato non è stato firmato dal pubblico ministero assunto dal Vaticano per indagare sui reati finanziari, Andrea Gagliarducci, analista vaticano della Catholic News Agency, pone anche un’altra domanda: “Il via libera per le indagini è venuto direttamente dal papa?”.
Tra tutte le domande una cosa è chiara: il compito di tenere il Vaticano e i suoi funzionari fuori dai guai finanziari è tutt’altro che esaurito. Questo ha implicazioni che vanno oltre la città-stato: la cultura segreta del Vaticano e i numerosi privilegi sulla sovranità lo rendono ideale per transazioni dubbie. Tuttavia la responsabilità di sovrintendere al suo vasto settore finanziario è divisa tra dipartimenti le cui competenze si sovrappongono e sono in conflitto.

La segreteria per l’economia doveva portare la maggior parte del settore sotto un’unica autorità. Eppure non è mai stata incorporata nella costituzione vaticana. “Esiste, eppure non esiste”, afferma Gagliarducci. Attualmente ha solo una testa attiva. Lo stesso vale per l’ufficio del revisore generale. Il primo nominato, Libero Milone, si è dimesso nel 2017. In seguito ha affermato di essere stato minacciato di arresto con “accuse prefabbricate” se si fosse rifiutato di andare via. “Evidentemente, non volevano che riferissi alcune cose che avevo visto”, ha detto.

È in questo contesto oscuro che sta per entrare in scena l’ultima assunzione esterna del Vaticano. Il 3 ottobre papa Francesco ha nominato il procuratore antimafia in pensione Giuseppe Pignatone come presidente del tribunale vaticano. Uno dei suoi primi processi sarà quello all’ex presidente dello Ior Angelo Caloia, accusato di aver sottratto decine di milioni di euro da affari immobiliari. Pignatone è noto soprattutto per il suo ruolo in un’operazione contro una rete di criminalità organizzata a Roma. Dice che non vede l’ora di vivere una “nuova e straordinaria esperienza”.

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale The Economist.

Aggiornamento. In seguito alla diffusione sulla stampa dei nomi delle persone indagate, si è dimesso il capo della gendarmeria vaticana, Domenico Giani.

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