11 giugno 2020 17:21

A Rangoon, la più grande città della Birmania, è appena passata la mezzanotte e le persone si aggirano in cerca di piacere in un quartiere movimentato. Gli automobilisti rallentano per ispezionare le lavoratrici e i lavoratori del sesso, che attendono sul bordo del marciapiede. Tre donne transgender chiacchierano allegramente. La corrispondente dell’Economist cerca di afferrare qualcosa, ma nemmeno il traduttore riesce a capire di cosa stanno parlando. Theresa, la più rumorosa delle tre, si toglie il lecca-lecca dalla bocca. “Sì, parliamo bansaka”, dice alzando le spalle.

Il bansaka (che significa “gergo”) è un dialetto parlato dagli omosessuali e dai transgender in Birmania. Consiste nell’invertire le vocali all’interno di una parola (coffee, un termine preso in prestito dall’inglese, diventa keefaw) e nell’attribuire nuovi significati a vocaboli esistenti. I giochi di parole abbondano. Asin, un aggettivo usato per descrivere le gemme di grande luminosità, indica un uomo attraente. I neologismi nascono spesso dalla cultura popolare. Esprimere apprezzamento per la rivista Tayza, un tempo molto diffusa tra i giovani maschi, è un modo per segnalare la propria attrazione per queste persone.

Le ultime novità
Il risultato è una lingua incomprensibile per gli estranei, e l’obiettivo è proprio questo. Spesso le minoranze sessuali inventano una lingua segreta per nascondere la loro identità e comunicare liberamente. I gay e i transgender della Birmania usano il bansaka quando vogliono spettegolare su una persona che si trova nei paraggi. “Quando una cliente brutta si presenta e ci chiede di farla somigliare a Beyoncé, la prendiamo in giro tra noi”, racconta la truccatrice Thu Yain Maung Maung.

In privato i gay usano il bansaka come manifestazione d’affetto, e inventano nuove parole e nuovi gesti per intrattenersi a vicenda. Moe Aung, del gruppo di sostegno lgbt Kings N Queens, si diverte a spiegare insieme a un amico le ultime novità del repertorio, tra una risata e l’altra. Il gesto “ok”, in cui il pollice e l’indice formano un cerchio mentre le altre tre dita restano tese, somiglia alla lettera “wa” dell’alfabeto birmano. “Wa” significa anche avere la pancia piena. Per quelli che ne sono al corrente il gesto quindi significa “ne ho avuto abbastanza”, e in alcuni casi “smetti di parlare”.

Le persone lgbt sono considerate moralmente corrotte, una visione rafforzata dalle leggi risalenti all’epoca coloniale

Il 90 per cento dei birmani pratica la religione buddista, e molti credono che essere gay o transgender sia una punizione per i peccati sessuali commessi in una vita precedente. Le persone lgbt sono considerate moralmente corrotte, una visione rafforzata dalle leggi risalenti all’epoca coloniale che ancora oggi criminalizzano i rapporti tra persone dello stesso sesso. Più un uomo è effeminato, più è feroce il disprezzo che riceve. “Se da uomo diventi donna perdi il tuo status e il tuo rango”, spiega La Min, una donna transgender. Le persone lgbt subiscono discriminazioni e abusi a scuola e sul posto di lavoro. Secondo David Gilbert dell’Australian national university, molti riferiscono di essere stati aggrediti dai familiari o dalla polizia.

Il bansaka può garantire un minimo di protezione. Quando Moe Aung, che si esibisce come drag queen, vuole usare un bagno pubblico “chiedo a un amico di accompagnarmi per sicurezza”, racconta . “La conversazione deve rimanere privata. Se in quella situazione non uso il gergo la gente mi guarda storto”. Moe Aung sostiene che andare in bagno da solo sia un invito allo stupro.

Quasi tutti gli uomini gay e le donne transgender imparano il bansaka svolgendo uno dei pochi impieghi a cui possono accedere: medium, parrucchieri, truccatori e fiorai. “Questi lavori offrono qualcosa di più che un’occupazione”, spiega Gilbert. “Rappresentano un’alternativa alla famiglia”. Di solito i dipendenti vivono insieme sul posto di lavoro. I colleghi giovani, chiamati “bambini”, imparano il gergo dalle loro superiori, o “madri”.

Oggi il bansaka offre meno protezione rispetto al passato. Negli ultimi quindici anni la gente ha cominciato a intuire qualcosa. Anche se nella maggior parte dei casi le persone non capiscono il gergo, “si rendono conto che è bansaka”, spiega Thu Yain Maung Maung e hanno perfino adattato qualche parola. Il bansaka, inoltre, sembra aver perso parte della sua utilità per i giovani. Secondo Hein Maung, omosessuale di 24 anni, i giovani gay quasi non lo parlano più, e preferiscono comunicare in privato attraverso i social network. Ma Moe Aung è scettico. Kings N Queens organizza picnic a cui partecipano molti giovani che si divertono a imparare il bansaka. “Il gergo non scomparirà mai”, assicura prima di fare il gesto “ok” con la mano.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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