25 novembre 2020 15:16

A gennaio, quando buona parte del mondo stava appena prendendo coscienza del covid-19, gli scienziati si sono precipitati nei loro laboratori, portando con sé una copia appena realizzata del codice genetico del coronavirus che causa la malattia. In quei primi giorni era quasi impossibile immaginare che nell’arco di undici mesi sarebbero stati creati tre vaccini efficaci contro il covid-19. Eppure è esattamente quel che è successo.

Per tre lunedì consecutivi, gli sviluppatori di un vaccino hanno annunciato risultati molto promettenti. Il 23 novembre i ricercatori dell’azienda farmaceutica AstraZeneca e dell’università di Oxford hanno riferito che il loro vaccino è efficace al 70 per cento. E quest’ultimo vaccino avrebbe un grande vantaggio: ci si aspetta infatti che sia più economico e più facile da distribuire al livello globale rispetto ad altri.

I risultati sono ricavati dai dati provvisori raccolti da sperimentazioni nel Regno Unito e in Brasile, che hanno coinvolto più di 23mila volontari. Come tutti i vaccini dei quali finora conosciamo alcuni risultati, anche quello di AstraZeneca è stato somministrato in due sessioni distinte. Delle persone cui è stato somministrato il vaccino, nessuna è stata ricoverata in ospedale o si è ammalata in forme gravi. I ricercatori affermano anche che il loro vaccino potrebbe ridurre la trasmissione del virus – un dato ancora non noto a proposito degli altri due vaccini per i quali sono stati riportati i risultati, quello della Pfizer/Biontech e quello della Moderna. Il vaccino ideale deve impedire che le persone si infettino a vicenda, oltre a impedire che si ammali chi lo riceve.

Veicolare il materiale genetico
La sperimentazione prevedeva anche un regime di dosaggio in cui ad alcuni partecipanti è stata inizialmente somministrata solo una mezza dose di vaccino, seguita poi da una dose completa. L’efficacia di questo sistema ha raggiunto il 90 per cento. Perché una dose iniziale più bassa potrebbe dare una risposta più forte? La risposta può risiedere nel metodo che il vaccino usa per veicolare materiale genetico dal coronavirus all’organismo, ovvero all’interno di un vettore virale, vale a dire un altro virus, che agisce come una sorta d’involucro.

Prima degli esperimenti gli scienziati temevano che l’organismo potesse sviluppare l’immunità al vettore oltre che alle proteine del coronavirus. I risultati suggeriscono che l’immunità antivettore potrebbe essere un fattore importante nel normale regime a due dosi. Una prima dose più potente potrebbe spingere l’organismo a sviluppare anticorpi contro il vettore, riducendo così l’efficacia della seconda dose. Una prima dose meno potente potrebbe aggirare questo problema. I ricercatori si aspettano di avere maggiori informazioni nelle settimane a venire, che miglioreranno la fiducia in questi risultati.

Come per i dati relativi a tutti e tre i vaccini di cui si conoscano i risultati finora, molte delle informazioni fornite sono purtroppo (ma comprensibilmente) preliminari. Tuttavia gli accademici di Oxford si dicono fiduciosi di poter presentare un articolo a una rivista scientifica nelle prossime ore. Non è chiaro quando le équipe che sviluppano gli altri due vaccini faranno lo stesso.

Confronto difficile
Sia la Moderna che l’associazione Pfizer/Biontech hanno dichiarato che i loro vaccini sono efficaci al 95 per cento circa. Sebbene confrontare l’efficacia dei diversi vaccini sia invitante, si tratta di un’operazione difficile, per una serie di ragioni. La più importante è che gli sviluppatori stanno contando i casi di covid-19 in modi diversi. I test della AstraZeneca e di Oxford hanno verificato nei partecipanti la presenza di infezioni asintomatiche, piuttosto che basarsi su sintomi autodenunciati. Per questo il numero di casi dopo le vaccinazioni può apparire più alto rispetto a quello di Pfizer, che si è basato sull’autodenuncia dei pazienti (con un test di conferma a seguire).

Qualunque sarà il risultato di analisi più approfondite, è chiaro che il mondo possiede tre vaccini altamente efficaci. Se approvato, quello della AstraZeneca potrà essere distribuito rapidamente. Può essere prodotto in molte strutture in tutto il mondo, e l’anno prossimo potranno essere prodotte tre miliardi di dosi (rispetto, per esempio, alle 1,3 miliardi di dosi della Pfizer/Biontech). Pascal Soriot, capo della AstraZeneca, ha dichiarato che la sua azienda ha accordi di partenariato con fornitori in India, America Latina, Russia e Thailandia. The Serum institute, un produttore indiano di farmaci e vaccini, si è impegnato a produrre in massa il vaccino della AstraZeneca già lo scorso aprile. “Riforniremo i paesi a basso e medio reddito di tutto il mondo, utilizzando diverse fonti”, dice Soriot. “Il nostro obiettivo è farlo più o meno in contemporanea, in modo che tutti possano accedervi in modo equo e il più rapidamente possibile”.

Rimangono i dubbi legati all’evento avverso, e ancora sconosciuto, che ha provocato l’interruzione temporanea dei test all’inizio di quest’anno

Il vaccino è anche economico, e può essere conservato per almeno sei mesi in un normale frigorifero. Il vaccino della Pfizer ha bisogno di una conservazione ultra-fredda, a settanta gradi sotto zero, e può essere conservato in frigorifero solo per pochi giorni. Quello della Moderna può essere conservato in frigorifero per un mese. Questo significa che il vaccino della AstraZeneca potrà essere conservato in qualsiasi ambulatorio o farmacia del mondo. Richard Hatchett, direttore della Cepi, una fondazione che finanzia la ricerca sui vaccini per le pandemie, ha dichiarato che questo vaccino potrebbe avere il potenziale di alterare significativamente il corso della pandemia globale, e che potrebbe essere somministrato ovunque, anche nei paesi poveri.

Sebbene la AstraZeneca affermi che il vaccino sia stato ben tollerato da coloro cui è stato somministrato, permangono alcuni dubbi legati all’evento avverso, e ancora sconosciuto, che ha provocato l’interruzione temporanea degli esperimenti all’inizio di quest’anno. Domande come queste devono ora essere prese in considerazione dalle autorità di regolamentazione, le quali valuteranno le richieste di autorizzazione d’emergenza presentate dai produttori di tutti e tre i vaccini.

La AstraZeneca ha dichiarato che chiederà anche un’autorizzazione a essere inserita nella lista di farmaci d’emergenza dell’Organizzazione mondiale della sanità. Questo permetterà di usare i suoi vaccini anche in paesi che non possiedono autorità di regolamentazione in grado di valutare i vaccini.

Se il tempo non fosse essenziale, avrebbe senso attendere la raccolta di dati a lungo termine su questi nuovi vaccini. Ma di fronte a una pandemia, quest’opzione non è percorribile. Le norme per consentire l’uso in caso di emergenza sono state concepite proprio per situazioni come questa. Tuttavia questo significa che le autorità di regolamentazione dovranno tenere sotto stretta osservazione questi nuovi vaccini per un po’ di tempo. All’inizio il loro uso sarà probabilmente limitato a coloro che si ritiene ne abbiano più bisogno, come gli operatori sanitari o gli anziani. Le autorità insisteranno poi su un attento monitoraggio degli effetti collaterali. Con l’accumularsi dei dati, nel primo trimestre del prossimo anno, è probabile che questi vincoli si allenteranno.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo. stato pubblicato sul settimanale The Economist.

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