10 giugno 2022 16:23

Merry Christmas from the family, una canzone country lanciata da Robert Earl Keen nel 1994, racconta la storia di un affollato raduno familiare pieno di ponce allo champagne, canti di Natale e tacchino. Molti riconosceranno il caos descritto dal narratore: di più, si immedesimeranno nella sua difficoltà a ricordare in che modo è legato ai vari ospiti. “Fred e Rita hanno guidato fin qui da Harlingen”, sussurra Keen, “non ricordo come siamo imparentati”.

Questo potrebbe avere qualcosa a che fare con la lingua inglese. Si scherza spesso sul fatto che chiunque abbia più o meno la tua età sia un “cugino”, a prescindere dalla relazione effettiva, e chiunque sia un po’ più vecchio sia uno “zio” o una “zia”. L’inglese è piuttosto essenziale nell’uso dei termini per indicare i membri di una famiglia. Altre lingue prestano molta più attenzione ai dettagli.

Prendiamo per esempio il caso di “fratello” e “sorella”. Le società che danno valore alle gerarchie legate all’età molto spesso hanno termini diversi per indicare un fratello o una sorella più grandi e un fratello o una sorella più piccoli. In mandarino sono rispettivamente ge, jie, di e mei (di solito raddoppiati nella lingua parlata, per esempio didi); in giapponese sono ani, ane, ototo e imoto. Sebbene esistano delle alternative generiche per alcune specifiche situazioni (per indicare per esempio il concetto astratto di sibling, i fratelli e le sorelle), in queste lingue sarebbe strano non specificare l’anzianità di una persona.

Rispetto per gli anziani
Passiamo ai rapporti matrimoniali. L’inglese si limita ad aggiungere un freddo in-law per riferirsi ai rapporti acquisiti attraverso un coniuge. Il francese ha il più caloroso beau- o belle- (belle-mère è la suocera, beau-frère il cognato, e così via), che almeno significa “bello” e non fa riferimento a un legame burocratico.

Altre lingue europee hanno parole diverse per molti diversi parenti acquisiti tramite matrimonio. Chi impara lo spagnolo deve memorizzare cuñado/cuñada, yerno, nuera, e suegro/suegra, i cui corrispettivi inglesi sarebbero brother-/sister-, son-, daughter- e father-/mother-in-law. Lo spagnolo distingue perfino cuñado/a (il cognato/la cognata, che è fratello o sorella di uno dei due coniugi) da concuñado/a, coniuge della sorella o del fratello del coniuge, ossia qualcosa tipo co-brother/sister-in-law. Ha anche il termine cuñadismo, che indica quando si parla di cose di cui si sa poco atteggiandosi ad autorità, un’espressione simile a mansplaining in inglese.

Ci sono molte teorie da salotto sulla relazione tra lingua e cultura

Da qui in avanti le cose si complicano parecchio. L’arabo tiene conto del lato della famiglia da cui provengono gli zii o le zie di chi parla: amm o amma è uno zio o una zia da parte di padre, mentre un khal o khala è uno zio o una zia da parte di madre. Chi entra nella famiglia per matrimonio però non accede agli stessi titoli. La moglie di tuo amm non diventa tua amma, ma si definisce zawjat al amm, ossia “moglie dello zio”, nel caso dovessi dimenticare quale dei due è fratello o sorella di tuo padre. Lo stesso accade con i cugini, che non hanno un termine distinto ma sono a seconda dei casi il figlio o la figlia (ibn o ibna) dei tuoi amm, amma, khal o khala.

Il cinese fa molte distinzioni simili. Il suo sistema è ancora più complesso, poiché in molti casi il parlante deve ricordare se un parente è più vecchio o più giovane di lui o lei, se i parenti dei loro genitori sono più vecchi o più giovani di loro e così via. Ci sono molte teorie da salotto sulla relazione tra lingua e cultura che non reggono a un esame più approfondito. È tuttavia abbastanza plausibile che il fatto che le lingue dell’Asia orientale diano tanta importanza all’anzianità sia legato al peso che il confucianesimo attribuisce al rispetto per gli anziani e gli antenati.

Infine, è curioso che l’inglese non abbia un termine che descriva il rapporto cruciale tra i genitori di una coppia sposata. L’ebraico e lo yiddish hanno mehutanim e machatunim, e lo spagnolo ha consuegros (consuoceri) per indicare questa relazione decisiva. Gli anglofoni sono invece costretti a dire una cosa abbastanza bizzarra tipo “i genitori della moglie di mio figlio”.

Il fatto che per alcune culture sia molto importante definire ogni possibile relazione con un termine specifico non significa che le culture in cui questi termini mancano attribuiscano meno valore ai legami familiari. Ogni famiglia anglofona pare abbia almeno un genealogista da salotto in grado di dirti che Henry Ford era un pro-pro-pro-pro zio o un quarto cugino di quinto grado. Ogni famiglia ha però anche membri di cui non si cura affatto, che saluta distrattamente chiamandoli “zio” o “cugino”.

Tutte le lingue consentono di descrivere le relazioni di parentela con tutti i dettagli che l’ascoltatore desidera. Certo è che le lingue che prevedono etichette molto specifiche per i parenti e ti costringono a ricordare i dettagli tutte le volte che parli finiscono per scolpirti nel profondo queste informazioni. Ecco perché un cantante arabo avrebbe molte meno probabilità di mormorare “non ricordo come siamo imparentati” di uno statunitense.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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