13 ottobre 2022 12:25

Per Vladimir Putin è stato un compleanno solitario. Pochi leader mondiali di rilievo si sono preoccupati di chiamarlo o di inviare un biglietto d’auguri. Certo, il presidente della Bielorussia gli ha mandato un trattore, ma c’è un altro uomo che non ha deluso le aspettative.

Il 7 ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che continua a definire Putin un “caro amico”, gli ha fatto gli auguri. Putin ha risposto ringraziandolo per i suoi tentativi di mediare tra Russia e Ucraina. I due leader dovrebbero incontrarsi in Kazakistan il 13 ottobre, appena due giorni dopo la raffica di missili e droni esplosivi contro l’Ucraina.

Si pensava che la guerra avrebbe messo a dura prova i rapporti tra la Turchia, paese della Nato, e la Russia, la più grande minaccia per l’Alleanza atlantica. E invece è accaduto il contrario: l’intesa si è rafforzata. Per anni la Turchia è stata il partner più fidato della Russia all’interno della Nato. Ora la guerra ha evidentemente aumentato l’importanza del ruolo di Ankara.

Un porto sicuro
Per la Russia, considerata ormai come un paria in gran parte dell’occidente, la Turchia è diventata un porto sicuro, l’unico paese in Europa che ancora accoglie le aziende russe e il capo del Cremlino a braccia aperte. Per la Turchia, invece, la Russia è diventata un partner commerciale sempre più essenziale e una fonte di denaro. Putin ha bisogno dell’aiuto della Turchia per salvare ciò che resta della sua legittimità sul palcoscenico mondiale, mentre Erdoğan, che l’anno prossimo dovrà affrontare le elezioni, ha bisogno dell’aiuto della Russia per mantenere il potere.

Erdoğan sembra più incline a criticare i governi occidentali per aver “provocato” la Russia che condannarla per le atrocità compiute in Ucraina

Durante il corso della guerra il governo turco ha fatto la sua parte nel sostenere l’Ucraina. La Turchia ha venduto a Kiev droni armati e ha invocato un trattato internazionale per evitare l’annessione di quattro province ucraine alla Russia. Inoltre Ankara sta assistendo l’Ucraina nella costruzione di quattro moderne corvette di tipo Ada, e la prima è stata varata all’inizio di ottobre. Grazie a un accordo mediato dalla Turchia durante l’estate, l’Ucraina, i cui porti erano sottoposti al blocco navale russo, ha potuto riprendere le esportazioni di grano via mare. Ma Ankara resta vicina alla Russia. I leader dei due paesi si incontrano e parlano al telefono regolarmente.

La bonarietà che contraddistingue i rapporti tra Putin ed Erdoğan non è cambiata nonostante le guerre in Siria, in Caucaso e in Libia, in cui Turchia e Russia sono riuscite a collaborare nonostante sostenessero schieramenti opposti. Questa dinamica si è mantenuta anche in Ucraina. Oggi Erdoğan sembra più incline a criticare i governi occidentali per aver “provocato” la Russia piuttosto che a condannare le atrocità compiute dall’esercito di Mosca in Ucraina. “L’Europa sta raccogliendo quello che ha seminato”, ha sottolineato il presidente turco a settembre quando la Russia ha interrotto la fornitura di gas verso i paesi europei in risposta alle ultime sanzioni. Erdoğan “comincia a comportarsi come l’avvocato di Putin”, spiega Hakan Aksay, un esperto turco di questioni russe.

Nuovo record commerciale
Non solo la Turchia si oppone alle sanzioni occidentali contro la Russia, ma ha trovato il modo di trarne beneficio. Quest’anno gli scambi commerciali tra i due paesi hanno già superato i 50 miliardi di dollari, un nuovo record dopo i 34,7 miliardi del 2021. I quasi venti voli che collegano Mosca e Istanbul ogni giorno sono pieni di turisti e uomini in fuga dalla mobilitazione. Almeno alcuni dei russi che raggiungono la Turchia sono decisi a restare. Dall’inizio dell’anno più di ottomila russi hanno acquistato una casa in Turchia, conquistando il primo posto nella classifica degli acquirenti stranieri. Solo nel mese di agosto i russi avrebbero registrato 128 nuove aziende in Turchia.

La Russia ha inoltre rinvigorito il sistema bancario turco. Durante l’estate l’azienda russa Rosatom ha versato circa cinque miliardi di dollari alla Turchia per finanziarie la costruzione di una centrale atomica sulla costa del Mediterraneo. Ma il flusso di rubli e cittadini russi ha attirato l’attenzione degli Stati Uniti. In estate un funzionario del tesoro americano ha segnalato che la Russia stava cercando di usare la Turchia per aggirare le sanzioni occidentali, invitando le aziende turche a non fare affari con i cittadini russi sanzionati. Le banche turche hanno risposto sospendendo l’uso del sistema pagamento russo Myr.

In un contesto in cui l’economia nazionale è devastata dall’inflazione, che a settembre ha raggiunto l’83 per cento, Erdoğan si avvicina alle elezioni dell’anno prossimo su una strada in salita. Il leader turco ha cercato di ottenere un sostegno economico da parte di paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, ma senza grandi successi. Oggi sembra intenzionato a chiedere l’assistenza della Russia. Di recente, secondo Bloomberg, la Turchia avrebbe accettato di pagare il 25 per cento dei suoi consumi di gas russo in rubli e avrebbe chiesto a Mosca di spostare le scadenze di parte del debito energetico al 2024. Erdoğan in ogni caso appare ottimista.

I leader europei si preoccupano di superare l’inverno senza il gas russo, ha dichiarato il 10 ottobre. “Gli ho detto che noi non abbiamo questo tipo di preoccupazione”.

La politica turca nei confronti della Russia non cambierebbe radicalmente nemmeno se Erdoğan perdesse il potere. Nessun partito politico turco, infatti, vorrebbe uno scontro con Mosca. Eppure Putin sa bene che non sarà facile ricreare un rapporto come quello che ha plasmato con Erdoğan negli ultimi vent’anni. “Conosce le sue debolezze e il suo modo di fare politica”, spiega Mitat Çelikpala, professore dell’università Kadir Has di Istanbul. Per questo motivo Putin potrebbe decidere di dare una mano al suo amico, magari con uno sconto sul gas, un’iniezione di contante o il via libera per una nuova offensiva turca contro i ribelli curdi in Siria.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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