25 marzo 2016 12:12

Permettetemi di unirmi a voi, se possibile, nel vostro tragitto mattutino verso il posto di lavoro in un momento imprecisato del prossimo futuro.

Ecco che lasciamo il marciapiede per salire sul sedile posteriore di un veicolo. Mentre chiudete la portiera, l’indirizzo del vostro ufficio (la nostra meta finale) appare automaticamente su uno schermo inserito sul retro di un pannello in pelle di fronte a voi. “Buongiorno”, dice la voce umanoide dell’auto, pronunciando il vostro nome prima di sintonizzare la radio su Npr come fa ogni mattina.

Decidete che avete voglia di un caffè e lo dite al veicolo. “Il vostro bar preferito dista meno di un chilometro”, risponde la macchina. Il bar, come scoprirete presto, si trova a qualche passo dalla lavanderia. Il veicolo vi suggerisce di passare a prendere il bucato pulito visto che vi trovate in zona. “Preferisco farlo dopo il lavoro”, rispondete voi, e l’auto pianifica il vostro itinerario serale di conseguenza.

Mentre andiamo al bar a prendere il caffè l’auto fa il giro dell’isolato. Poi rientriamo nel veicolo per riprendere il viaggio verso l’ufficio. Nel ristorante vegetariano che vi piace hanno annunciato un menu speciale per pranzo e l’automobile ve lo fa sapere mentre ci passiamo davanti. L’auto vi chiede il permesso e prenota un tavolo per venerdì.

Passiamo davanti a un negozio di alimentari e sul monitor compare un elenco di prodotti. Toccando lo schermo qua e là, li aggiungete alla lista della spesa. L’auto viene così programmata per andare a recuperare l’ordine e consegnarvelo stasera.

È l’era in cui piccole cose quotidiane sono delegate a una macchina

Ormai il vostro ufficio non dista più di un chilometro. Come tutti i giorni, gli appuntamenti che avete preso per stamattina compaiono sullo schermo (una videoconferenza alle 10, una riunione alle 11) insieme all’avviso che oggi è il compleanno di un collega.

È l’era delle auto senza conducente, un’epoca in cui le piccole cose quotidiane sono delegate a una macchina. Il viaggio è stato piacevole, rilassante ed efficiente. Oltre a prometterci una sicurezza senza precedenti sulle strade pubbliche, i veicoli automatici potrebbero renderci la vita molto più facile, offrendoci più tempo libero e più attenzione per concentrarci su altre questioni mentre ci spostiamo da un posto all’altro.

Ma in tutto questo c’è anche un risvolto negativo. Ripercorriamo la scena per un minuto ed esaminiamo il viaggio più da vicino.

Accumulare dati

Eccoci qui: l’auto è venuta a prenderci. Volevamo un caffè, ci ha proposto un bar. Ma se ci fossimo soffermati a guardare la mappa sullo schermo, avremmo notato che quel bar non era il più comodo dove fermarsi, ma era un locale sponsorizzato, non molto diverso dai risultati a pagamento di Google. L’auto ha cambiato direzione per portarvi fin lì.

Lo stesso si può dire della lavanderia. Se avete deciso di portare lì i vostri vestiti, è perché l’auto ve l’ha suggerito. E se ve lo ha suggerito è perché quella lavanderia ha pagato Google, il produttore dei veicoli automatici, in modo da diventare una lavanderia consigliata nella vostra zona.

Quanto al menu speciale, quello è veramente uno dei vostri ristoranti preferiti, ma l’auto non vi ci ha mai portato prima. Il veicolo conosce i vostri gusti perché ha esaminato le vostre email, ha identificato le parole chiave e ha analizzato il tono dei messaggi.

Allo stesso modo, l’auto sapeva quali prodotti del negozio di alimentari mostrarvi perché ha studiato i vostri acquisti precedenti. Inoltre, una volta avete detto a un amico seduto nell’auto insieme a voi il nome di una birra che vi piace.

La macchina ha ascoltato la conversazione, ha individuato le parole chiave relative alle marche e ha capito che doveva consigliarvi di inserire quella birra nella vostra lista della spesa quando fosse stata proposta a prezzo scontato. In questo prossimo futuro pieno di automobili senza conducente, il prezzo della convenienza è la sorveglianza.

Le aziende produttrici di veicoli autonomi non hanno detto come pensano di usare i dati personali

La raccolta dei dati è un’estensione naturale delle funzionalità dei veicoli autonomi. Dal punto di vista tecnologico, il funzionamento delle auto senza conducente dipende dalla quantità di dati che deve attraversare un reticolo di raffinati sensori. Il veicolo deve sapere dove si trova e dove sta andando e dev’essere in grado di tenere traccia di ogni oggetto ed essere vivente sulla strada. Le automobili senza conducente si baseranno su telecamere sofisticate e dati gps ad alta precisione.

Questo vuol dire che le auto metteranno insieme un bel po’ di informazioni sui loro passeggeri (come i dati che Uber ha accumulato sulle abitudini di spostamento dei suoi clienti, ma con un livello di precisione maggiore). Più i veicoli saranno personalizzati, più raccoglieranno dati personali. Il futuro che ho descritto potrebbe essere ancora lontano, ma non c’è motivo di credere che quello che ho dipinto sia uno scenario esagerato.

Finora le aziende produttrici di veicoli senza conducente sono state reticenti riguardo al modo in cui pensano di usare i dati personali. Durante una seduta del congresso statunitense sulle auto senza conducente, la settimana scorsa il senatore Ed Markey, un democratico del Massachusetts, ha chiesto a più riprese se i produttori di veicoli autonomi avrebbero adottato norme minime per la tutela della privacy dei consumatori.

Nessuna delle persone interpellate (tra cui c’erano esponenti di Google, della Gm e di Lyft, un servizio di ride sharing) aveva risposte chiare. “Una serie di norme è necessaria”, ha detto a un certo punto Markey. “Non sono nella posizione di commentare l’argomento in nome di Google”, ha risposto Chris Urmson, il direttore del progetto delle auto senza conducente di Google. Google ha eluso la domanda anche in passato.

A giugno John M. Simpson, il direttore del Privacy Project dell’organizzazione no profit di tutela dei consumatori Consumer Watchdog, ha partecipato all’assemblea annuale degli azionisti di Google (Simpson mi ha spiegato di avere acquistato due azioni dell’azienda per avere la possibilità di fare domande ai dirigenti).

Simpson ha chiesto: “Sareste disposti a tutelare la privacy degli utenti delle auto senza conducente e a impegnarvi fin da subito a usare le informazioni raccolte solo per azionare i veicoli, e non per altri scopi di marketing?”.

I dirigenti presenti sul palco si sono scambiati una breve occhiata e poi David Drummond, uno dei vicepresidenti dell’azienda nonché capo consulente legale di Google, ha preso la parola.

“Credo che la partita delle auto senza conducente sia appena cominciata e che sia troppo presto per stabilire regole che dicono: ‘non farai X, Y e Z con questi dati’”, ha risposto Drummond. “Penso che quando i veicoli saranno operativi, il valore potrebbe essere notevole… è un po’ presto per trarre conclusioni che, da molti punti di vista, limiterebbero l’innovazione e la nostra capacità di produrre un bene di consumo straordinario”.

Un potenziale enorme

Un modo per tutelare la privacy potrebbe essere rendere anonimi tutti i dati raccolti dalle auto senza conducente: in questo modo si garantirebbe che itinerari o dettagli di viaggio non siano riconducibili a una singola persona.

Ma il potenziale è enorme per le aziende che accumulano dati personali e li usano per il marketing e per altri servizi. I produttori di auto senza conducente potrebbero chiedere l’assenso dei consumatori prima di raccogliere i dati, ma anche questo approccio è spesso imperfetto.

Da una parte, i fabbricanti di veicoli autonomi potrebbero decidere di trattare questo assenso come una condizione necessaria per usare la loro tecnologia. E anche se i singoli potessero scegliere se acconsentire o meno all’uso dei loro dati, spesso, come sa chiunque abbia sottoscritto i termini di servizio di una piattaforma online senza averli letti, questi contratti sono pieni di gergo legale e difficili da leggere.

Amnon Shashua, uno dei fondatori di MobileEye, un produttore di sistemi di visione artificiale per veicoli autonomi, ritiene che Google e gli altri abbiano buoni motivi per assicurare la trasparenza sul modo in cui vogliono usare i dati sui passeggeri.

“Per aziende come Google e Uber la questione della privacy è molto importante”, osserva Shashua. “Un’azienda che non gestisce a dovere la privacy rischia il fallimento”.

Simpson di Consumer Watchdog non pensa che l’importanza della privacy significhi che i colossi della tecnologia faranno la cosa giusta. “Il fatto è che a volte chi progetta l’oggetto non pensa nemmeno alla privacy”, commenta Simpson. “Pensano solo: più dati ci sono, meglio è. La loro idea è che per ora non possono sapere a cosa serviranno tutti quei dati”.

Ma questo non basta, conclude Simpson: “È insufficiente”.

(Traduzione di Floriana Pagano)

Questo articolo è stato pubblicato su The Atlantic.

This article was originally published on Theatlantic.com. Click here to view the original. © 2015. All rights reserved. Distributed by Tribune Content Agency

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