25 agosto 2016 15:22

Dopo essere stato rapito e tenuto prigioniero in catene nella giungla per più di sette anni, in un campo controllato dai ribelli colombiani delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), Alan Jara sa quanto sia difficile perdonare e riconciliarsi con il passato.

Una delle innumerevoli vittime della guerra che in Colombia è durata cinquant’anni (la più lunga dell’America Latina), Jara è stato liberato dalle Farc nel 2009. In seguito è stato eletto per tre volte governatore provinciale, e adesso dirige l’ente governativo incaricato di risarcire quasi otto milioni di vittime di una guerra segnata da scomparse, rapimenti, violenze sessuali e omicidi.

Jara ha deciso di perdonare i suoi rapitori, convinto che non possa esistere alcuna pace duratura senza una riconciliazione. “Non perdonare vorrebbe dire che sono ancora prigioniero e m’impedirebbe di liberarmi della mia rabbia e di voltare pagina”, ha dichiarato Jara. “Per ottenere la pace, i colombiani non hanno altra scelta che perdonare”.

Un paese diviso

A giugno, il governo del presidente Juan Manuel Santos e le Farc hanno firmato un cessate il fuoco, considerato il penultimo passo verso un accordo che metta fine alla guerra che ha ucciso almeno 220mila persone e ha causato milioni di sfollati. Santos ha legato la sua carriera politica alla capacità di riportare la pace in Colombia, affermando che qualsiasi accordo di pace raggiunto sarebbe poi stato sottoposto all’approvazione o alla bocciatura del popolo. Il referendum, che la corte costituzionale colombiana ha recentemente convalidato, si svolgerà con tutta probabilità entro la fine dell’anno.

Su fronti opposti, i favorevoli e i contrari alimentano già un’infuocata disputa tra sostenitori e critici dell’accordo di pace negoziato nella capitale cubana dell’Avana. I colombiani sono profondamente divisi su cosa concedere ai ribelli, sulle conseguenze giudiziarie che questi dovrebbero affrontare, sul fatto che i settemila combattenti delle Farc consegnino o meno le loro armi e sull’opportunità che i ribelli smobilitati possano o meno ricevere incarichi elettivi.

Chi abita nelle città, lontano dalle remote zone rurali e dalle giungle dove si è svolto il conflitto, prova sentimenti ambivalenti rispetto alle trattative di pace e sembra più preoccupato da temi come l’impiego, l’istruzione, la copertura sanitaria e l’inflazione in crescita.

Le vittime della guerra sembrano più disposte a votare sì al referendum per l’applicazione dell’accordo di pace

Santos ha dichiarato di essere fiducioso che il sì prevarrà. Ma alcuni sondaggi pubblicati questo mese da sette diversi istituti nazionali mostrano un’altra situazione. Secondo il sondaggio Ipsos dell’inizio di agosto il 50 per cento dei colombiani voterebbe no, contro il 39 per cento a favore del sì. Un sondaggio più recente di Datexco, pubblicato il 18 agosto, dà un margine più ridotto, con il 32,3 per cento a favore del sì e il 29,1 per cento a favore del no.

Secondo Jara, i colombiani direttamente colpiti dalla guerra, incluse le famiglie di chi è stato ucciso, sono spesso i più disponibili a perdonare e a sostenere le trattative di pace. “Le vittime non vogliono che accada anche ad altri quello che hanno dovuto sopportare loro”, ha spiegato. Isaac Valencia, 33 anni, è stato costretto dalle Farc ad abbandonare la sua abitazione quando era bambino, e ha dichiarato che voterà a favore dell’accordo di pace perché si tratta dell’unica soluzione che permetterà ai colombiani di cominciare a guarire. “È la migliore possibilità che abbiamo per mettere fine alla guerra, perché non ci siano altre vittime o sfollati. I colombiani devono unirsi”, ha dichiarato.

Giustizia e pace

Dei 47 milioni di abitanti della Colombia più di un quarto è stato in qualche modo colpito dalla guerra che ha coinvolto ribelli, gruppi paramilitari di destra e truppe governative. Secondo Jara vedere le Farc dietro le sbarre non è una condizione necessaria per ottenere pace e giustizia. “Per quanto mi riguarda, la mia vita non si risolverà certo vedendo i loro militanti in prigione”, spiega. “Quel che è più importante è la garanzia che non ci saranno ulteriori sofferenze. E il modo migliore per garantirlo è porre fine al conflitto”.

Ma non tutti i colombiani vogliono, o sono pronti, a perdonare le Farc e a sostenere gli accordi di pace. Molti sono scettici e dubbiosi riguardo alle condizioni sulle quali finora si sono accordati i negoziatori. “Voglio che i miei nipotini vedano la pace”, dice Alba Gomez, che dieci anni fa è stata portata via da casa sua dalle Farc. “Ma le Farc sono una banda di assassini e la prigione è il minimo che i guerriglieri dovrebbero ricevere per tutta la sofferenza che hanno causato a così tante persone. Senza questo, non può esserci pace”.

Il dissenso nei confronti dei negoziati di pace è guidato dal principale partito d’opposizione, il Centro democratico, di destra, dell’ex presidente Álvaro Uribe. Quando era al potere, Uribe ha inflitto alcuni duri colpi alle Farc nel corso di una campagna di controinsurrezione sostenuta dagli Stati Uniti.

La rivolta delle Farc era cominciata come una sommossa contadina, prima che i capi dei ribelli si dedicassero al commercio di cocaina e ai rapimenti per finanziare le loro attività.

Il governo non è stato in grado di spiegare con chiarezza il testo dell’accordo

Il padre di Uribe è stato ucciso dai guerriglieri delle Farc, e l’ex presidente sostiene che lui e il suo partito non sono contro la pace, bensì contro le condizioni negoziate finora all’Avana, e ha promesso questo mese di fare campagna attiva per il no al referendum. Uribe ritiene che l’accordo di pace equivalga all’impunità per le Farc, e ha guidato una campagna di “resistenza civile”, durante la quale i suoi sostenitori hanno raccolto firme contro il processo di pace nelle piazze di tutta la Colombia.

Oggi i termini dell’accordo di pace prevedono un periodo tra cinque e otto anni di “libertà limitata” per i combattenti che ammettono crimini di guerra come violenza sessuale e sparizioni forzate. Chi non ammette i propri crimini ma è giudicato colpevole rischia fino a vent’anni di prigione, con sentenze emesse da giudici di tribunali speciali.

Secondo Santos simili misure non equivalgono all’impunità. Ma gli ultimi sondaggi mostrano che sta faticando a convincere la popolazione, visto che l’88 per cento dei colombiani interpellati da Ipsos all’inizio di agosto ritiene che i comandanti delle Farc dovrebbero ricevere pene detentive, mentre il 75 per cento ritiene che dovrebbero essere esclusi dalla politica. Il testo completo degli accordi finora raggiunti non è stato ancora pubblicato e secondo gli analisti il governo non è stato in grado di spiegare con chiarezza l’accordo di pace ai colombiani.

“Sui negoziati di pace c’è disinformazione e c’è confusione”, ritiene Jara. “Tante persone non conoscono nei dettagli gli accordi finora raggiunti e questo ha spaccato su più fronti l’opinione pubblica”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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