04 settembre 2017 16:00

“Le lacrime dei rifugiati eritrei ed etiopi stanno lavando Roma”, dice Sabah, una donna etiope, dopo l’ennesimo sgombero subìto dalle famiglie etiopi ed eritree di piazza Indipendenza, che dal 26 agosto hanno organizzato un presidio a piazza Venezia, nel centro di Roma, per chiedere una sistemazione per le 250 famiglie sgomberate dal palazzo di piazza Indipendenza il 19 agosto.

Alle 6.45 del 4 settembre polizia, carabinieri, vigili urbani e operatori della nettezza urbana sono arrivati a piazza Madonna di Loreto, a pochi passi da piazza Venezia, e hanno rimosso gli striscioni e i gazebo che erano stati allestiti dai rifugiati, determinati a continuare la protesta anche dopo il fallimento della trattativa tra i loro rappresentanti, la prefettura, il comune di Roma e la regione il 30 agosto.

Due operatori della Sala operativa sociale, presenti sul posto, hanno offerto 65 posti letto in strutture di accoglienza temporanee per gli uomini e 24 posti letto per donne con bambini in tre diversi centri di accoglienza (Casalotti, via Savi e via dell’Usignolo), ma i rifugiati hanno ribadito di non essere disposti a separare le famiglie o ad accettare soluzioni parziali. Una trentina di loro ha accettato di andare in un centro sulla Casilina ed è stata trasferita con un autobus. Arrivati sul posto, molti se ne sono andati perché hanno capito che le famiglie sarebbero state divise, secondo quanto riferito dagli stessi rifugiati.

Come è possibile che dopo tutto quello che è successo si continui a proporre sempre la stessa cosa?

L’assessora alla politiche sociali Laura Baldassarre ha dichiarato che 29 persone hanno accettato l’assistenza proposta dalla Sala operativa sociale. “Chiedono dei centri per le famiglie, ma noi non abbiamo questo tipo di strutture, perché la Sala operativa sociale interviene solo in situazioni di emergenza, per altro tipo di interventi strutturali dovrebbero intervenire altri dipartimenti”, afferma un operatore della Sala operativa sociale del comune di Roma.

“Non c’è vergogna da parte della polizia, né da parte delle istituzioni. Sono venuti stamattina, hanno buttato via gli striscioni e hanno proposto alle persone che hanno subìto quelle violenze di andare in un centro di accoglienza”, spiega Sabah. “Come è possibile che dopo tutto quello che è successo – la violenza, gli idranti – si continui a proporre sempre la stessa cosa? Famiglie separate nei centri di accoglienza: donne con i bambini da una parte e uomini per strada. Vogliamo una soluzione per le famiglie”, spiega Sabah. “E se questa soluzione non arriverà, noi continueremo a protestare, siamo di nuovo qui, dormiremo di nuovo qui questa notte. O pensano che ci fanno sparire come ha detto quel poliziotto a piazza Indipendenza?”, chiede.

“Noi non vogliamo andare nei centri di accoglienza perché lì non possiamo cucinare, non possiamo stare insieme ai nostri mariti, i bambini sono lontani dalle scuole e noi dai posti di lavoro”, chiarisce Michela, che allatta Samuel, un bambino di 14 mesi.

Nessuna trattativa
“Perché nessuno viene qui a parlare con i rifugiati? Non sono stupidi, hanno una testa, ragionano. Ma ora si sentono davvero presi in giro”, dice Gemma Vecchio di Casa Africa onlus, che improvvisa un comizio davanti ai mezzi d’informazione e ai funzionari della polizia. “C’è bisogno di trovare una soluzione per le famiglie. Servono almeno 70 posti per i nuclei familiari e un centinaio di posti per gli uomini soli”, dice Vecchio.

Ma molti non sono d’accordo con lei. La maggior parte degli sgomberati di piazza Indipendenza non vuole sentire più parlare di posti temporanei nei centri di accoglienza. “Siamo rifugiati e come sapete per il regolamento di Dublino non possiamo lasciare l’Italia. Se non vogliono trovare una sistemazione per le persone che hanno sgomberato ci straccino i documenti e ci diano un foglio di via, perché non abbiamo intenzione di pagare ancora le tasse e i permessi di soggiorno”, dice Sabah.

I preti dovrebbero aprire le chiese, altrimenti sarebbe meglio che smettessero di fare i preti

“A piazza Indipendenza c’erano almeno 600 persone, ora servirebbero 250 case per quelle famiglie”, continua Ezechiele. Ma in questi giorni nessuno ha proposto una mediazione e neppure una soluzione concreta ai tanti titolari di protezione internazionale che continuano a dormire per strada. “I preti dovrebbero aprire le chiese, altrimenti sarebbe meglio che smettessero di fare i preti. I romani dovrebbero aprire le loro case, perché i politici non stanno facendo niente”, dice Sabah, sempre più esasperata.

Oltre a qualche cittadino volenteroso e qualche organizzazione umanitaria che ha portato da mangiare e da bere agli sgomberati, nessuno è venuto a negoziare una soluzione con gli eritrei e gli etiopi di piazza Indipendenza. La sindaca di Roma Virginia Raggi, dopo aver incontrato il ministro dell’interno Marco Minniti il 31 agosto, ha ribadito che ci sono posti in accoglienza solo per le cosiddette vulnerabilità: donne, bambini e disabili. E nemmeno i rappresentanti dell’opposizione, che hanno incontrato i movimenti per il diritto all’abitare, hanno parlato con i rappresentanti della comunità eritrea ed etiope, sgomberata da piazza Indipendenza. “Quei cittadini romani che erano scesi in piazza con noi il 26 agosto dove sono finiti?”, chiede Simon, un altro rifugiato.

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