29 ottobre 2021 11:22

Esiste una ricchissima tradizione di “letteratura carceraria” egiziana. È addirittura uno dei generi letterari più praticati: pensatori islamisti o laici, socialisti o liberali che hanno subìto la politica repressiva dei vari regimi egiziani, in particolare da Gamal Abdel Nasser in poi, hanno scritto dietro le sbarre, testimoni di una società civile e di un mondo intellettuale che non si lascia facilmente sconfiggere.

Uno degli archetipi di questa società civile dal coraggio straordinario è la famiglia Abdel Fattah-Soueif. Il padre, Ahmed Seif al Islam, fu imprigionato due volte sotto il presidente Anwar al Sadat e altre due sotto Hosni Mubarak. Durante la prigionia fu torturato con scariche elettriche e gli furono rotte le braccia e le gambe. Nonostante questo, si laureò in legge nel carcere dove stava scontando una pena di cinque anni. Uscito di prigione, fondò l’Hicham Mubarak center e divenne uno dei più rispettati avvocati per i diritti umani in Egitto. La madre, Laila Soueif, è docente di fisica e attivista della prima ora. E poi c’è Alaa Abdel Fattah, il loro figlio, blogger, attivista e pensatore, uno dei protagonisti della rivoluzione egiziana del 2011, che ha trascorso sette degli ultimi otto anni in carcere insieme ad altri 60mila prigionieri politici egiziani.

Non siete stati ancora sconfitti è la prima traduzione in italiano degli scritti di Alaa Abdel Fattah. È pubblicato da hopefulmonster editore, nella collana La stanza del mondo curata da Paola Caridi, e tradotto da Monica Ruocco.

Solidarietà internazionale
Dobbiamo la pubblicazione di questo libro al coraggio e alla resistenza di tre donne: Laila Soueif e le sue figlie Mona e Sanaa, le sorelle di Alaa. Sono tutte e tre attiviste per i diritti umani che hanno trascorso decine di ore fuori della temutissima prigione di Tora al Cairo in attesa di una lettera, di uno scritto di Abdel Fattah. Sono state aggredite davanti alla prigione mentre le forze dell’ordine lasciavano fare. Sanaa, che ha 26 anni, è stata arrestata mentre era andata a denunciare il pestaggio alla polizia. Il 17 marzo è stata condannata a un anno e mezzo di carcere con accuse del tutto false secondo Amnesty international. Dal 2014 era già stata condannata al carcere in relazione a due altri casi, come ricorda questo video sul murale che le è stato dedicato dall’artista egiziano Ammar Abo Bakr a Roma.

Il libro esiste anche grazie alla bella solidarietà internazionale di un collettivo che circonda ancora i rivoluzionari di piazza Tahrir. I testi di Alaa Abdel Fatah sono stati pubblicati in inglese e in italiano contemporaneamente. La versione inglese ha un’introduzione della giornalista canadese Noemi Klein, quella italiana è presentata da Paola Caridi, giornalista esperta di Medio Oriente, mentre delle utilissime note ripercorrono il contesto politico degli scritti.

Dobbiamo la pubblicazione di questo libro al coraggio e alla resistenza di tre donne: Laila Soueif e le sue figlie Mona e Sanaa, le sorelle di Alaa

Il formato cartaceo potrebbe sembrare paradossale per un autore che è un programmatore di formazione ed è giustamente considerato come il padre dei blogger egiziani, avendo inventato, insieme alla moglie Manal Hassan, gli aggregatori di blog Manalaa e Omraneya, che intorno al 2005 spalancarono una nuova porta per la libertà di espressione in Egitto, sei anni prima della rivoluzione di piazza Tahrir.

Alaa Abdel Fattah è un intellettuale e attivista contemporaneo che si esprime con grande chiarezza su vari supporti e il libro abbraccia questa comunicazione molteplice. Ci sono gli articoli del periodo rivoluzionario, quando i suoi scritti erano pubblicati da diversi giornali contemporaneamente: l’articolo pubblicato da Al Shorouq il 10 luglio 2011, che apre la raccolta, è dedicato allo studio della costituzione sudafricana. L’entusiasmo e l’intensità democratica del pensiero di Abdel Fattah si evincono fin dalle prime pagine:

Ogni singolo problema importante, come la questione di avere un sistema presidenziale o uno parlamentare, richiede un’ampia discussione che può anche durare settimane. I dibattiti dovrebbero essere pubblici e dovrebbero esserci consultazioni per consentire ai cittadini, ai rappresentati della società civile, ai nostri movimenti politici e di protesta di partecipare alle discussioni.

Per rendere omaggio al suo attivismo durante il periodo tra il 2012 e il 2013, il collettivo di curatori ha selezionato invece i contributi pubblicati su Twitter e Facebook. In quel periodo Abdel Fattah è presente su tutti i fronti e, secondo il loro calcolo, se dal 2007 ha twittato oltre 290mila volte, “significa che se un libro contiene 300 pagine e ogni pagina contiene dieci tweet, equivale a circa cento libri composti soltanto di tweet”.

Ci sono anche interventi in contesti internazionali come il suo discorso di apertura della RightsCon, una conferenza sui diritti umani in epoca digitale tenuta nella Silicon Valley, in cui accusa pubblicamente le reti di telefonia private come Vodafone di essersi piegate all’autoritarismo durante la rivoluzione. Ma il suo pensiero politico va oltre e individua le ragioni strutturali della situazione, che hanno implicazioni globali:

Il mercato è altamente centralizzato, altamente monopolizzato, e ciò per assicurare privilegi a queste società. In cambio, le grandi società estendono i propri privilegi al governo, consentendogli di esercitare un maggiore controllo.

Il volume comprende inoltre estratti di interviste televisive, dialoghi con amici pubblicati dal giornale indipendente egiziano Mada Masr, collaborazioni letterarie con poeti tramite “grida da una cella all’altra”, lettere scritte su pezzi di carta in carcere e raccolte dalla madre e dalle sorelle. O ancora le sue famose dichiarazioni al magistrato: non avendo più neanche carta e penna in cella, l’intellettuale approfitta di questa occasione in cui gli viene data la parola per mischiare denunce puntuali del sistema giudiziario e riflessioni politiche:

Quando a tutti questi prigionieri viene vietato l’accesso ai libri, a giornali e riviste, (…) quando vengono privati della radio e persino dell’uso della biblioteca del carcere, cosa vi aspettate da loro quando usciranno? Isolarli in questo modo garantisce che non vengano esposti a idee diverse, quindi che senso ha trattenerli? A chi giova? (…) Se ci negate la musica, il vuoto sarà riempito da Salil Al-Sawaram, e se ci proibite le notizie, il vuoto sarà colmato da Dabiq (rispettivamente una canzone di propaganda e la rivista dell’organizzazione Stato islamico).

Tra le pagine più commoventi della raccolta troviamo il racconto di un viaggio fatto a Gaza, durante il suo unico anno di libertà negli ultimi otto, accompagnato dal figlio Khaled, nato mentre lui era in carcere. Si leggono le parole di un testimone attento, umile, solidale e anche molto impressionato dalla resilienza di Gaza.

Nella prefazione, Paola Caridi spiega quanto Antonio Gramsci conti per Alaa Abdel Fattah, che lo cita spesso, come in questo passaggio:

Certo, mi sforzo di applicare la teoria di Gramsci riguardo al ‘pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà’, ma qui c’è una tale negazione della volontà che devo fare esercizio di ottimismo della ragione prima di incasinare i miei compagni.

Come negli altri casi che l’Italia è abituata a seguire più da vicino – la detenzione preventiva e il processo rinviato di Patrick Zaki e la mancata collaborazione delle autorità egiziane con la magistratura italiana per l’omicidio di Giulio Regeni – Alaa Abdel Fatah vive in carcere da due anni senza nemmeno sapere quale sia il capo d’accusa.

Secondo lo storico Khaled Fahmy citato nella versione inglese:

Alaa è il cittadino più coraggioso, più critico e più impegnato di tutti noi. In un momento in cui l’Egitto è stato trasformato in una grande prigione, Alaa è riuscito ad aggrapparsi alla sua umanità ed essere l’egiziano più libero.

La seconda settimana di settembre, durante l’ennesima udienza per il rinnovo della sua detenzione, Abdel Fattah ha spiegato che non può più sopportare la situazione e che sta “seriamente pensando al suicidio”. “La vita di Alaa è in pericolo”, avvertono in una dichiarazione pubblica la madre Laila e la sorella Mona. Leggere il libro di Alaa Abdel Fatah significa anche non lasciarlo solo e affermare che non è ancora stato sconfitto.

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