07 dicembre 2015 12:11

Nei giorni in cui il mondo si ritrova alla Cop21 di Parigi per prendersi cura del clima, e quindi dell’avvenire dell’umanità, in pochi hanno il coraggio di denunciare i danni causati dall’agricoltura industriale. Eppure, secondo diverse fonti dell’Onu, questa è responsabile di almeno il 30 per cento delle emissioni di gas serra provocate dagli esseri umani in tutto il mondo. La crescita dell’allevamento intensivo e delle monocolture è causa di deforestazione, inaridimento dei terreni e uso massiccio di pesticidi e di concimi petrolchimici. Secondo un rapporto dell’ong Grain, si sale al 50 per cento delle emissioni se si include tutta la catena agroindustriale, inclusi la trasformazione e il trasporto degli alimenti.

Chi simboleggia meglio questo modello, accusato inoltre d’inquinare l’acqua, i terreni e l’aria, di accelerare la scomparsa della biodiversità e il progresso di quella che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce “l’epidemia delle malattie croniche evitabili” (cancro, Alzheimer o Parkinson)? Chi più di tutti può essere accusato di minacciare la sovranità alimentare dei popoli tramite i brevetti sulle sementi e la privatizzazioni degli organismi viventi? “Monsanto”, risponde la Fondazione tribunal Monsanto.

Creata all’Aja, nei Paesi Bassi, con il sostegno di movimenti civici come Via Campesina, di ong e di personalità internazionali – tra cui l’ecologista indiana Vandana Shiva, e l’australiano Andre Leu, presidente della Federazione internazionale dei movimenti d’agricoltura biologica – la fondazione intende “giudicare i crimini di cui è imputata la multinazionale nei settori ambientali e sanitari e contribuire al riconoscimento del crimine di ecocidio nel diritto internazionale”.

Il tribunal Monsanto non è solo un tribunale d’opinione ma un vero tribunale

Si tratta di creare un “processo esemplare” per denunciare “tutte le multinazionali e le aziende mosse unicamente dalla ricerca del profitto e che, per questo motivo, minacciano la salute degli esseri umani e la sicurezza del pianeta”. L’iniziativa, che sarà ufficialmente l’8 dicembre, “è unica e senza precedenti”, dice la sua madrina, la scrittrice e regista Marie-Monique Robin, autrice di Il mondo secondo Monsanto, un’inchiesta sulla multinazionale statunitense. Niente a che vedere, spiega Robin, con il tribunale Russell-Sartre, messo in piedi nel 1966 per giudicare i responsabili dei crimini di guerra in Vietnam, oppure con il Tribunale internazionale dei diritti della natura, che si riunirà a Parigi a margine della Cop21. Questi due tribunali hanno avuto soprattutto un “valore pedagogico”, mentre “il tribunal Monsanto non è solo un tribunale d’opinione ma un vero tribunale con giudici e avvocati in toga che esamineranno dei veri e propri capi d’imputazione tramite gli strumenti del diritto internazionale”. Tuttavia, non godrà di un riconoscimento internazionale.

Giudici di cinque continenti

Per giudicare il comportamento di Monsanto, ci si baserà sui “Princìpi guida sulle imprese e i diritti umani” approvati nel 2011 dal consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. “Questo testo rappresenta il riferimento più ampiamente condiviso per definire le responsabilità delle imprese riguardo, per esempio, il diritto alla salute o il diritto a un ambiente sano”, spiega il belga Olivier de Schutter, ex relatore speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione e professore di diritto internazionale all’Università cattolica di Lovanio. Consulente legale nella preparazione del tribunale, ha per compito, insieme all’avvocato ed ex eurodeputata francese Corinne Lepage, di mettere insieme dei giuristi di alto livello, magistrati, avvocati e giudici provenienti dai cinque continenti.

Il tribunale, che si riunirà all’Aja dal 12 al 16 ottobre 2016, intende ascoltare al massimo un centinaio di querelanti provenienti da America, Europa, Asia e Africa. “Nel corso del prossimo anno tribunal Monsanto raccoglierà le testimonianze e le informazioni”, precisa Olivier de Schitter. “È ancora troppo presto per identificare i testimoni o le vittime che il tribunale dovrà ascoltare. Questa scelta dipenderà anche dalla strategia seguita dagli avvocati delle vittime”. Il tribunal Monsanto si conformerà “il più possibile” ai princìpi generali del diritto processuale civile, assicura. La multinazionale sarà invitata a far valere le proprie ragioni. “Sarebbe un peccato se Monsanto preferisse il silenzio alla discussione”, sostiene il giurista.

Contattata da Libération, la multinazionale ritiene che le “accuse ripropongono dei luoghi comuni, inesatti e deformati, che non riflettono minimamente la realtà”. Monsanto ricorda che in Francia, dove ha 600 impiegati, tra i 200mila e i 300mila agricoltori beneficiano ogni anno delle sue “soluzioni assai apprezzate”. L’azienda assicura che la sicurezza è una priorità e rivendica “pratiche trasparenti”, aggiungendo che i suoi prodotto sono sottoposti a “molti studi scientifici”. Monsanto si dice addirittura “pronta a rispondere a tutte le domande”, pur non chiarendo se il gruppo invierà dei suoi rappresentanti al processo.

Ma non c’è qualcosa di assurdo e inquietante nel dover creare un simile tribunale per compensare quelli che potrebbero apparire limiti della giustizia? “Dire che, a oggi, non è stato possibile fare niente sarebbe inesatto”, relativizza De Schutter, citando il caso degli abitanti di Nitro, la città del West Virginia dove Monsanto produceva l’Agente arancio: nel 2013 hanno ottenuto dei risarcimenti per i danni subiti a causa dell’inquinamento da diossina.

Prodotti altamente tossici

Un altro esempio è il procedimento contro la multinazionale avviato a settembre, a Los Angeles e a New York, da alcuni lavoratori agricoli che si sono ammalati di cancro alle ossa o di leucemia a causa dell’utilizzo di Roundup, l’erbicida più diffuso di Monsanto. O ancora il caso dell’agricoltore francese Paul François, vittima di un’intossicazione dovuta al Lasso, un erbicida di Monsanto oggi vietato. Nel 2012 François ha ottenuto la condanna della multinazionale, obbligata a versargli un risarcimento. “È un fatto inedito, a livello mondiale”, sottolinea Marie-Monique Robin. “Mai prima di allora un singolo agricoltore aveva osato sfidare l’azienda di Saint Louis. E si capisce perché. Nel mio libro Il veleno nel piatto ho raccontato l’infinito calvario di Paul”.

Condannata in primo grado e in appello, la multinazionale ha fatto ricorso in cassazione quest’autunno, facendo notare in particolare che la corte d’appello di Lione “riconosce che Monsanto ha effettivamente fornito le informazioni relative alla composizione del suo prodotto”. “Alla fine di tutto ci sarà al massimo una condanna civile perché finora nessuno strumento giuridico permette di condannare penalmente un’azienda o i suoi dirigenti per un crimine contro la salute umana o l’integrità dell’ambiente”, dice Robin.

Da qui nasce l’importanza di riformare il diritto perché venga riconosciuto il crimine di ecocidio. “Se già ci fosse stato, la multinazionale non avrebbe potuto inquinare in totale impunità per oltre un secolo e fare di tutto per distribuire sul mercato prodotti altamente tossici che provocano malattie e la morte di migliaia di persone”, aggiunge la madrina del tribunale. “Guardate quello che succede con il glifosato, la sostanza attiva di Roundup presente negli ogm dell’azienda. Tutto indica che ci troviamo di fronte a un gigantesco scandalo sanitario, ben più grande di quello dell’amianto. Eppure, come ha già fatto per i policlorobifenili o per la diossina, Monsanto continua a sostenere che non c’è pericolo, quando sa che è falso!”.

Un tribunale finanziato dal crowdfunding

Per lo svizzero Hans Herren, presidente del Millennium institute di Washington, Monsanto “è di gran lunga una delle aziende peggiori”, quando si tratta d’influenzare le autorità pubbliche con “informazioni erronee” sulla sicurezza dei prodotti. Anche se anche altri gruppi del settore agrochimico “come Syngenta, Bayer o Basf” non stanno con le mani in mano.

“Ci sono dei miglioramenti. Ma troppo lenti. E troppo tardivi. In particolare, la politica rimane passiva di fronte ai segnali inquietanti che emergono da queste procedure giudiziarie”, ritiene Olivier de Schutter. “In gioco ci sono interessi economici molto grandi, e queste aziende sono ben attrezzate per opporsi alle accuse. Inoltre, simili procedure rappresentano un percorso complicato per le vittime, che esitano a investire tempo e denaro in un processo dall’esito incerto. Quando un’azienda come Monsanto si mette sulla difensiva, cerca di ottenere un accordo per evitare che sia emessa una sentenza sfavorevole”.

Delle azioni giudiziarie avviate caso per caso non possono sostituire un intervento dei poteri pubblici

Ogni anno Monsanto mette da parte somme colossali per affrontare i processi che potrebbero intentarle le vittime dei suoi prodotti. Il che però non la spinge a modificare le sue pratiche. “Finché per gli azionisti rimarrà più conveniente far correre dei rischi alla collettività, anche se questo obbliga a versare di tanto in tanto dei risarcimenti alle vittime, queste pratiche continueranno a esistere”, conclude Olivier de Schutter. “Delle azioni giudiziarie avviate caso per caso non possono sostituire un intervento dei poteri pubblici”.

Ma chi finanzierà tribunal Monsanto, il cui costo stimato è di un milione di euro?Tutti, sperano i suoi promotori. Il 3 dicembre è stato lanciato un appello “a tutti i cittadini e le cittadine del mondo” affinché partecipino “attraverso la più vasta operazione di crowdfunding internazionale mai realizzata fino a oggi”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Libération. Per leggere l’originale clicca qui.

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