12 settembre 2020 10:12

Grazie agli elementi soprannaturali e al mix di horror e fantasy, Il labirinto del fauno (2006) e La spina del diavolo (2001) di Guillermo del Toro avevano fatto conoscere la guerra civile spagnola (1936-1939) a un pubblico internazionale.

Il labirinto del fauno racconta gli orrori e gli abusi commessi dai franchisti durante gli anni quaranta del novecento. Il Capitano Vidal, mostruosa incarnazione del fascismo, e il suo oscuro alter ego ultraterreno, l’Uomo Pallido sono i personaggi che commettono e danno corpo all’orrore. Accanto alla dura realtà della Spagna uscita dalla guerra civile, ne esiste un’altra: un regno sotterraneo e segreto abitato dalle fate e da un fauno. Sono stati questi elementi fantastici ad attirare un pubblico vasto e vario che altrimenti avrebbe avuto ben poco interesse per la spaventosa storia spagnola, della quale il regista ha fornito una critica puntuale.

I film del regista messicano hanno anche influenzato alcuni registi sudamericani, che combinano realismo, fantasia e soprannaturale per arrivare al grande pubblico e portare l’attenzione sui problemi politici dell’area e le gravi violazioni dei diritti umani. Un genere che sta avendo sempre più successo in America Latina, come dimostrano due di questi film, presentati sulla piattaforma di streaming horror Shudder, e cioè Tigers are not afraid, della regista messicana Issa López, e La Llorona, del guatemalteco Jayro Bustamante.

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Come ha dichiarato la stessa López, Il labirinto del fauno è stato la sua fonte d’ispirazione per Tigers are not afraid e il film è stato elogiato dallo stesso del Toro, oltre ad aver ricevuto le lodi di Stephen King e Neil Gaiman. La protagonista è una ragazzina, Estrella (Paola Lara) che si unisce a una banda di bambini di strada, rimasti tutti orfani a causa dei femminicidi delle loro madri, uccise dal politico corrotto del luogo e boss del narcotraffico, El Chino (Tenoch Hoerta), e dalla banda di assassini che lavora per lui, Los Huascas.

I fantasmi vendicativi in questo caso sono la madre di Estrella e altre donne assassinate, che cercano di intrappolare e uccidere i responsabili della loro morte, con un chiaro rinvio alle storie di fantasmi di Guillermo del Toro La spina del diavolo e Crimson Peak. E anche in questo caso, il fantastico e il sovrannaturale si scontrano con gli orrori del mondo reale. Come spiega Issa López: “L’horror arriva nel profondo dell’animo, smuovendo le nostre emozioni primarie; perciò se riesci a esprimere i tuoi contenuti attraverso di esso avrai accesso alle orecchie e ai cuori degli spettatori. Da lì puoi arrivare alle loro altre paure, quelle che di solito cercano di non vedere, ossia quelle reali”.

Il film sfrutta la metafora soprannaturale per mettere in evidenza la corruzione politica in Messico e le connessioni tra politica, narcotraffico e femminicidi. Un brillante modo di portare i fan dell’horror di tutto il mondo ad avvicinarsi alla realtà messicana.

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Anche La Llorona sfrutta il potere della narrazione fantastica e del paranormale per raccontare l’importante storia del genocidio del popolo maya ixil compiuto dall’esercito del Guatemala negli anni ottanta. Il film segue le vicende del generale Enrique Monteverde (Julio Diaz) e della sua famiglia, intrappolati nella loro casa circondata dai sopravvissuti e da manifestanti inferociti.

Il personaggio di Monteverde è ispirato all’ex dittatore e generale in pensione José Efrain Rios Montt, che in un anno di potere (1982-1983) si era reso colpevole del genocidio di circa diecimila persone, secondo le stime, e della distruzione di più di 400 comunità indigene maya.

Al termine di un processo che si è svolto nel 2013 e durante il quale sono state ascoltate le testimonianze di più di 90 sopravvissuti – un fatto storico ripreso nel film – José Efrain Rios Montt era stato dichiarato colpevole del genocidio del popolo maya ixil; eppure il verdetto era stato velocemente ribaltato dalla corte costituzionale perché le élite militari temevano di dover affrontare la giustizia a loro volta se Rios Montt fosse stato condannato.

Il film narra le vicende sociali, politiche e soprannaturali che seguono l’arrivo di Alma (anima, in spagnolo), una domestica proveniente da un popolo maya. Alma, interpretata da María Mercedes Coroy, è avvolta da un alone mistico: è lei la Llorona, la donna piangente.

La Llorona è una figura tipica del folklore di molte aree dell’America del sud. Dopo aver ucciso i suoi figli annegandoli ed essersi tolta la vita, la donna è costretta a vagare come un fantasma e a piangere in eterno la morte dei suoi cari. In questa rilettura della leggenda, Jayro Bustamante prende le mosse dal folklore per raccontare il genocidio: i figli di Alma sono stati annegati dai militari su ordine di Monteverde. Appena Alma mette piede in casa l’abitazione è invasa dal suono spettrale di lamenti e pianto, ma solo il generale riesce a sentirlo e ne è ossessionato.

La Llorona e Tigers are not afraid hanno tutte le caratteristiche dei film horror che conosciamo e amiamo; usano abilmente e con sapienza il forte richiamo a livello globale del genere horror per poter parlare agli spettatori di fatti storici e risvolti sociali di Messico e Guatemala, di cui si sa ancora troppo poco. Ciò che questi film ci insegnano è che anche se tutti amiamo prenderci una bella paura davanti allo schermo, i veri orrori sono nel nostro mondo, intorno a noi, e dobbiamo vederli e ricordarli.

(Traduzione di Maria Chiara Benini)

Questo articolo è uscito su The Conversation.

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